Una manciata di parole in calce alla risoluzione numero 2735 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu contamina di ambiguità il programma che, in “tre fasi”, avrebbe l’ambizione di porre fine alla guerra di Gaza. Probabilmente gli estensori di quel documento non avrebbero potuto evitare di chiuderlo nel modo infine prescelto. Ma quel paragrafo finale, ineffabilmente dedicato a un futuro “in cui due Stati democratici, Israele e Palestina, vivono fianco a fianco in pace all’interno di confini sicuri e riconosciuti”, mal sopporta il carico delle prescrizioni sovrastanti, le parti del documento in cui si tratta degli ostaggi divisi tra quelli che dovrebbero essere liberati subito e quelli che invece possono aspettare.

Nel primo gruppo, le donne, i vecchi, i feriti nonché “alcuni” (non si poteva esagerare) di cui rimangono solo i resti. Ma solo alcuni, appunto, perché per la seconda tranche di ostaggi già assassinati e da restituire a pezzi bisognerebbe attendere la terza fase, quella del “piano pluriennale per la ricostruzione di Gaza”. Mentre per il carico residuo costituito da quelli ancora vivi ma in salute (è notorio che a Gaza si muore di fame, ma per gli ostaggi il vitto è ottimo e abbondante) si sta nel mezzo: né all’inizio, né alla fine del programma, bensì quando ci sarà il ritiro completo da Gazza delle forze israeliane.

Come capisce – o almeno dovrebbe capire – chiunque, il magari necessario ma in ogni caso osceno stillicidio restitutorio che concede la liberazione oggi di un primo pacchetto di clavicole e tibie, rinvia a qualche mese quella dei virgulti e al piano pluriennale la consegna di un secondo pacchetto di crani e omeri sionisti, non solo costituisce un prezzo di cui con qualche difficoltà si pretenderebbe il pagamento da parte di qualsiasi altro Stato. Inoltre, e appunto, quella cinica scaletta di lavoro è installata sul pavimento retorico delle due democrazie pacificamente dirimpettaie e (altro capolavoro di attualità e aderenza) della “unificazione della Striscia di Gaza e della West Bank sotto l’Autorità Palestinese”.

Attenzione. Che il tentativo di soluzione del conflitto ora sigillato in una risoluzione Onu possa costituire una notevole base di sviluppo dei complicatissimi rapporti tra le parti in gioco (che sono tante, davvero non limitate ai diretti belligeranti), è indubbio. Ma nessuno dovrebbe far finta di ignorare che quella risoluzione, con le adesioni che essa riceve, prospetta il futuro inesistente di una controparte di Israele che rinuncia a volerne la distruzione. Perché una controparte che fosse disposta a rinunciarvi avrebbe rilasciato da tempo, tutti e vivi, gli ebrei selezionati in base all’età, al sesso e al vigore fisico (ricorda qualcosa?) da quel documento delle Nazioni Unite.