Le ragioni di Israele
Israele, quando gli alfieri della pace a tutti i costi vogliono legittimare i terroristi
I pacifisti incalliti chiedono di riconoscere lo Stato della Palestina, ma un accordo senza fondamenta può spianare la strada ad Hamas

Carlo Calenda, parlando dell’evento al Teatro Parenti di Milano il 6 giugno, ha tenuto a chiarire che si tratta di “un momento di confronto che non ha nulla contro la manifestazione del giorno successivo organizzata da Fratoianni, Bonelli, Conte e Schlein”. “Di cui, però, non condividiamo ciò che manca e che non sono stati disposti ad integrare nella loro piattaforma: il disarmo di Hamas, il contrasto di chi vuole la distruzione dello Stato di Israele, una netta, chiara, forte e pronunciata condanna degli atti di antisemitismo a cui stiamo assistendo”. Così facendo, Calenda – direi inconsapevolmente – ha definito ciò che a me appare il problema principale della sinistra oggi giorno. Meriterebbe un approfondimento, però serve del tempo, e i pochi maîtres à penser validi che ci restano sono, ahimè (o: ahiloro), molto avanti con gli anni e, gesti scaramantici a parte, immagino che debbano (o dobbiamo) centellinare le forze e fare i conti con il tempo. Capisco che la mia pretesa di aver individuato un macigno sulla rotta della sinistra è sicuramente eccessiva, però – si sa – con il tempo si allentano i freni inibitori.
Se sfogliassimo un manualino di logica (ad esempio: Bradley H. Dowden, Logical Reasoning, Wadsworth, California, 1993) troveremmo dei passaggi che non necessitano di traduzione, laddove si disquisisce di “logical fallacies”, “reasoning errors” e, infine, qualcosa di molto paradigmatico come “telling half the truth” (qui vale la pena tradurre: dire soltanto metà della verità). A tal proposito, non posso che rammentare una risposta geniale a un quesito sulla crisi di Gaza, risolvibile – secondo l’intervistata – mediante pressioni internazionali su Israele, in particolare da parte degli americani, così come da una presa di coscienza dal basso da parte della società israeliana. Nulla era previsto da parte palestinese perché, se si è intrinsecamente perfetti, chi oserebbe correggerli? Sappiamo che Israele si è ritirata da Gaza nel 2005 e che, ciò nonostante, riceve da allora una pioggia impressionante di missili. “Sono ragazzi”, era il tormentone di un programma umoristico. La differenza è che, se davvero la nostra società ritenesse che bombardare Israele per vent’anni sia una ragazzata, bisognerebbe andare a rivedere alcuni testi scolastici: si troverebbero delle belle sorprese.
Calenda si chiedeva, come accennato, di auspicare il disarmo di Hamas, di contrastare chi vuole distruggere Israele e di condannare l’antisemitismo. Ora, chi è Hamas? L’Unione europea ha dichiarato che si tratta di un’organizzazione terroristica con il Regolamento di esecuzione (UE) 2025/206 del Consiglio del 30 gennaio 2025 che attua l’articolo 2, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 2580/2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone ed entità, destinate a combattere il terrorismo. La manifestazione divisata dovrebbe aver per bersaglio i terroristi, non Israele che si è difesa. Ma, anche chi ritiene che la difesa si sia svolta ben oltre il necessario, come fa a considerare che ciò nobiliti i terroristi al punto tale da accantonarli, concentrando l’attenzione sui reprobi israeliani? Questa è la metà del racconto che manca, e quindi l’aggiungiamo, ricorrendo alle parole di Antony Blinken, il precedente Segretario di Stato americano: “L’occhio del padre cavato davanti ai suoi figli, il seno della madre tagliato, il piede della ragazza amputato, le dita del ragazzo tagliate prima che fossero giustiziati, e poi i loro carnefici si sedettero e fecero un pasto. Questo è ciò di cui si occupa questa società”.
Manca ancora un tassello: chi dice di volere la pace, ha mai sentito parlare della “democratic peace theory”? Tale teoria (non senza contrasti) ritiene che sia più facile raggiungere la pace quando la contesa riguarda delle democrazie. Come pensano i nostri baldi eroi di addivenire alla pace con i terroristi? Il problema è che nei corsi di rieducazione sovietici non era mai contemplato un breve corso di logica. Nel breve periodo, farebbe male (un tale corso) ai partiti riottosi sopra elencati ma, sia nel breve che nel lungo periodo, farebbe tanto bene all’Italia. Michael Walzer, il più grande politologo vivente, segnalava che bisognerebbe saper distinguere gli Stati (eterni o quasi) dai governi, per definizione transeunti. Possono i nostri leader della sinistra fare politica senza saperlo? No, non possono, e per quello la loro manifestazione sarà un’eccellente sede per il vieto rituale della discesa in piazza: un rituale fine a sé stesso, retorico e diseducativo.
Certamente si può riconoscere lo Stato della Palestina, ma farlo senza ragionare può essere complicato. Il riconoscimento della Cisgiordania e Gerusalemme Est? È irreale porsi il problema del solo atteggiamento israeliano, perché i precedenti ci dicono che mentre tale assetto andava bene a due premier israeliani (Ehud Barak ed Ehud Olmert) non andava affatto bene all’OLP, perché voleva anche il rientro dei rifugiati. Un oceano umano che avrebbe annullato l’autodeterminazione del popolo ebraico, secondo la migliore dottrina internazionalista: è sensato imporre un assetto senza un trattato di pace che ponga fine ai contenziosi dalla parte araba? E poi c’è l’ipotesi di riconoscere Gaza, quale che ne sia la forma: in questo caso, per la prima volta si riconoscerebbe un’entità terroristica, al cospetto della quale le BR apparirebbero come dei moderati. La storia insegna che la pace priva di fondamenta, ed è il caso di Versailles, apre la strada a guerre sanguinose. Non si può dire di essere pacifisti mentre si accende una miccia in un’area già di per sé esplosiva ed esplosa.
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