Lo scenario
Israele – Usa: prove di intesa su Gaza
Il sostegno degli Stati Uniti “è incrollabile”, ma restano le divergenze tra Netanyahu e Biden
La guerra tra Hamas e Israele non si ferma, mentre si muove su più livelli la diplomazia. Ieri le truppe israeliane nella Striscia di Gaza hanno annunciato violente battaglie che si concentrano ora non più solo a Khan Younis, nel sud, ma anche nella città di Gaza. Dopo che l’esercito ha comunicato la fine delle operazioni a Beit Hanoun, poca più a nord, l’epicentro degli scontri è ora il quartiere di Shejaiya, dove secondo le Israel defense forces, la brigata di fanteria Golani è impegnata in “intense battaglie” contro Hamas. Come ha riportato il Times of Israel, il comandante Yair Palai ha detto che la zona “era ed è tuttora una roccaforte dell’organizzazione terroristica Hamas, e questo è un problema che deve essere sradicato”.
I tre ostaggi uccisi per errore e il sistema dei tunnel
Eliminare Hamas non è affatto semplice. I raid israeliani continuano a essere pesanti, facendo aumentare il numero dei morti e le inevitabili difficoltà per la popolazione. Ma allo stesso tempo anche il tributo di sangue che versa lo Stato ebraico inizia a essere un elemento non secondario anche per il premier Benjamin Netanyahu e i suoi ministri. Ieri le Idf hanno comunicato la morte di altri cinque soldati, portando a 129 i caduti da quando le forze armate sono entrate nella Striscia. Tiene inoltre ancora banco la drammatica vicenda dei tre ostaggi uccisi per errore dalle forze armate proprio nell’area di Shejaiya. E nel frattempo le Tsahal affrontano anche la rete dei tunnel di Hamas. A testimoniare l’importanza di queste gallerie è la scoperta segnalata dalle Idf di quello che, al momento, è il più grande sistema di tunnel individuato dall’inizio dell’invasione. La rete, che appare ramificata in diverse gallerie, si estende per circa quattro chilometri ed è a meno di mezzo chilometro dal valico di Erez, riaperto per gli aiuti umanitari.
Pressing internazionale
La situazione sul campo appare dunque complessa, e lo dimostrano anche le trattative diplomatiche e di intelligence che coinvolgono Israele. Ieri il segretario alla Difesa degli Stati Uniti, Lloyd Austin, è sbarcato nello Stato ebraico per incontri di massimo livello. Il ministro della Difesa israeliano, Yoav Gallant, incontrando il suo omologo Usa ha ribadito che la vittoria del suo Paese rappresenta “la vittoria del mondo libero” e rivolgendosi al capo del Pentagono ha sottolineato: “Entrambi conosciamo la complessità della guerra, entrambi abbiamo combattuto brutali organizzazioni terroristiche, e sappiamo che ci vuole tempo”. Un modo per ribadire che la richiesta di tempistiche certe e stringenti da parte Usa e degli alleati occidentali non può essere al momento rispettata, ma anche per evidenziare di non subire il pressing internazionale. Austin ha smentito che l’intenzione di Washington sia quella di imporre un “calendario” e ha anche ribadito che il sostegno degli Stati Uniti alla sicurezza di Israele “è incrollabile”. Tuttavia non è un mistero che le divergenze tra il governo Netanyahu e quello di Joe Biden rimangono rilevanti: in primis per i timori di un allargamento del conflitto, in secondo luogo per il futuro della Striscia.
L’obiettivo di Israele
Ieri Austin ha di nuovo confermato la linea rossa della diplomazia Usa sull’estremismo dei coloni israeliani in Cisgiordania, mentre ha avvertito la milizia libanese di Hezbollah di non allargare il conflitto. Inoltre il capo del Pentagono è tornato sulla questione dell’abbassare l’intensità dell’operazione militare. E sul futuro di Gaza ha ricordato che “gli israeliani e i palestinesi hanno entrambi pagato un prezzo troppo amaro per ritornare semplicemente al 6 ottobre” (il giorno precedente all’attacco di Hamas). L’obiettivo è garantire la sicurezza di Israele senza giungere a un’occupazione di Gaza, come hanno più volte affermato i funzionari Usa. Netanyahu ha recentemente detto che “dopo l’eliminazione di Hamas, la Striscia di Gaza sarà smilitarizzata e sarà sotto il controllo della sicurezza israeliana”. Ma l’impressione è che le trattative sul punto siano ben lontane da una conclusione.
Trattative che intanto sono andate in scena in questi giorni sia a Oslo che a Varsavia.
Il vertice a tre
Dopo l’incontro tra il direttore del Mossad, David Barnea, e il premier del Qatar, nella capitale norvegese – che le fonti hanno definito “positivo” – il portale Axios ha riferito di un vertice a tre a Varsavia cui si è unito anche il direttore della Cia, William Burns. Il capo dei servizi Usa ha avuto un ruolo fondamentale nel negoziato che ha condotto alla tregua per la liberazione di molti ostaggi lo scorso mese e, secondo molti osservatori, l’uccisione da parte delle Idf dei tre israeliani rapiti potrebbe avere indotto il governo di Netanyahu a ricercare nuovi canali diplomatici per portare a casa le persone sequestrate da Hamas. Le pressioni sul premier sono molte. E se gli Usa, Egitto e Qatar spingono per un nuovo accordo, sul fronte interno è giunto l’avvertimento del ministro della Sicurezza Itamar Ben Gvir, che ha minacciato di lasciare la coalizione di governo se la guerra non continuerà “con tutta la forza”.
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