“Not guilty”, “Not guilty”, “Not guilty”, “Not guilty”, “Not guilty”, “Not guilty”. Non colpevole ripetuto dalla giudice 5 volte. Kyle Rittenhouse oggi ha 19 anni, ma ai tempi della manifestazione di Kenosha nello stato del Wisconsin quando si sono svolto i fatti solo 17. Ieri venerdì 19 novembre, è stato prosciolto dall’accusa di aver ucciso due manifestanti, Joseph Rosenbaum, 36 anni e Anthony Huber, 26 anni, e di averne ferito un terzo, Gaige Grosskreutz, 28 anni.

Kyle rischiava l’ergastolo per omicidio e altri quattro capi di imputazione. La sentenza che lo lascia un libero cittadino sta suscitando emozioni e proteste. Fuori dal tribunale di Kenosha, cittadina del Wisconsin, si stanno raccogliendo i manifestanti. Fino a tarda sera la situazione è sembrata sotto controllo. Ma le autorità aspettano con preoccupazione le prossime notti: le frange più violente potrebbero assaltare negozi o edifici pubblici. Il governatore del Wisconsin, il democratico Tony Evers, ha già mobilitato 500 militari della Guardia Nazionale, per ora in attesa fuori città.

La famiglia di uno dei giovani uccisi, Anthony Huber, ha diffuso una nota: “Non c’è stata giustizia per Anthony e per le altre vittime”. La giuria ha accolto la tesi dei legali di Kyle: il ragazzo agì per legittima difesa: “Fu ripetutamente attaccato e sparò per salvarsi la vita”. Rigettati tutti gli indizi messi insieme dalla Procura, anche grazie all’utilizzo dei droni. Secondo il pubblico ministero, “Rittenhouse era in cerca di guai, quella notte, insieme con i suoi compagni della milizia”.

È un caso nazionale. Le fasi principali del processo sono state trasmesse in diretta dalle tv. Ancora una volta si riaccende la polemica sull’uso delle armi, sulla nozione di autodifesa, radicata nel Secondo emendamento della Costituzione americana. È importante la ricostruzione degli eventi. Bisogna tornare all’agosto del 2020. Il Paese era scosso dalle manifestazioni di Black Lives Matter, dopo l’uccisione di George Floyd, a Minneapolis.

Il 23 agosto un poliziotto colpisce con sette proiettili alla schiena l’afroamericano Jacob Blake, 29 anni. L’uomo stava cercando di sedare un alterco tra due donne. Stando all’avvocato della famiglia, Patrick Salvi, Blake non era armato. L’uomo rimarrà semi paralizzato alle gambe. Dilagano le proteste, con scontri notturni tra attivisti e la polizia. Per tre notti consecutive Kenosha è terra di nessuno.

È da poco passata la mezzanotte, siamo già al 25 agosto, quando un ragazzo con un capellino da baseball girato al contrario si muove lungo Sheridan Road, nel centro della città. Porta a tracolla un fucile a canna lunga. Dalle immagini si direbbe un mitragliatore semiautomatico Ar-15, in vendita come se fosse un attrezzo da giardinaggio in gran parte dell’America. Si scoprirà più tardi che si chiama Kyle Rittenhouse e che fa parte di “una milizia armata”, la “Kenosha Guard”. Si sono dati appuntamento via Facebook per “proteggere la proprietà”, nel concreto un benzinaio e alcuni negozi vicini.

Kyle avanza nella strada buia. Un gruppetto di manifestanti lo insegue, lo raggiunge. Qualcuno lo butta a terra e tenta di disarmarlo. Ma la reazione è furibonda. Partono diversi colpi: si vede un corpo sull’asfalto. Kyle ora ha il tempo di rialzarsi e di fuggire. Scompare nel nulla ma la mattina dopo viene arrestato ad Antioch, in Illinois: ha soltanto 17 anni.

La vicenda diventò immediatamente politica, con l’intervento dell’allora presidente Donald Trump a favore dell’accusato, assolvendolo prima ancora del processo. Il dibattimento in aula si è concentrato sulle intenzioni di Kyle, mentre restano aperti gli interrogativi di fondo. Adesso per il governatore Evers la priorità è evitare un’altra escalation di violenza.

Riccardo Annibali

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