Quel romanzo di duemila pagine non vide mai la luce. Forse avrebbe cambiato la storia d’Italia. Ma Pier Paolo Pasolini quel libro, “Petrolio”, non lo poté finire. Però erano bastate le voci su ciò che stava scrivendo per decretarne la condanna a morte. Il sesso, Pino Pelosi, con l’omicidio di mezzo secolo fa all’Idroscalo di Ostia, non c’entrano niente.

Il movente dell’omicidio di PPP stava tutto lì, nell’attacco micidiale che egli voleva sferrare al Potere «in un paese orribilmente sporco». La letteratura sulla morte del grande poeta non ha fine, e con essa il mistero che la alimenta. Ed ecco, a quasi 50 anni esatti da quella barbarie (2 novembre 1975), un nuovo approfondimento: si tratta di “Mi dovrete uccidere”, scritto da Marco Sani (Antonio Dellisanti Editore) che rilancia proprio la tesi dell’omicidio politico.

L’autore è un medico che ha esaminato con l’occhio del professionista quello che resta delle perizie scientifiche dopo indagini ridicole: «Se fossero stati collegati meglio i vari reperti e si fossero evitati gravi inquinamenti delle prove, si sarebbero meglio orientate le ricerche che purtroppo sono state più o meno artatamente compromesse». Questo libro si raccomanda perché mette insieme le decine di tasselli di un mosaico al quale continua a mancarne uno: quello della Verità. Ormai è però da escludere il movente sessuale del delitto, sulla base del quale si arrivò alla sentenza di condanna di Pino Pelosi. Se c’è stato l’elemento sessuale, non era l’unico e nemmeno il più importante.

Pasolini era da tempo considerato un nemico dai poteri oscuri e fortissimi: “Petrolio”, di cui aveva già scritto 500 pagine, era un colossale atto d’accusa nei confronti di Eugenio Cefis, l’ex capo dell’Eni. «Il cospicuo materiale raccolto su Cefis – scrive Sani – lo porta ad accusarlo sia dell’omicidio Mattei che di aver distratto ingenti capitali societari» e a coinvolgerlo «in intrallazzi politici che hanno portato alla stagione delle stragi». D’altronde l’autore di “Ragazzi di vita” sapeva benissimo di essere nel mirino – «Mi dovrete uccidere», appunto – per le cose che era venuto a sapere e d’altronde già riversate («Io so. Ma non ho le prove») nei famosi articoli “corsari” sul Corriere della Sera.

Verso la fine della sua vita, Pelosi – che già si era fatto decenni di galera in quanto riconosciuto unico colpevole dell’omicidio di Pasolini (appunto, l’omicidio a sfondo sessuale) – se ne uscì con una “rivelazione” (le virgolette sono d’obbligo): «Pasolini è stato ucciso da tre persone. Lo hanno picchiato a sangue davanti ai miei occhi». Credibile? Non credibile? Questo libro di Sani non mette – né potrebbe farlo – la parola fine sul mistero, ma aiuta una volta di più a esplorarne i meandri più politici. Quelli sui quali probabilmente va fatta ancora luce.