Undici poesie/canzoni, ventuno interviste e tre testimonianze compongono Puzzle Pasolini, ed. Ensemble, il nuovo libro su Pasolini curato da Andrea Del Monte che ricalca solo il parte quello uscito sette anni fa in occasione del quarantennale della morte (Caro poeta, caro amico). È un libro che regala anche a chi per avventura non dovesse sapere nulla di lui un Pier Paolo davvero alive and kicking, vivo e scalciante in senso non soltanto metaforico. Molto diverse le opinioni sulla morte, a volte inaspettati eppure complementari i vari punti di vista su quanto e come fosse considerato finché in vita, approfonditi i giudizi su lui artista, concordanti le descrizioni su lui persona.

Dalle testimonianze e dalle interviste (firmate Claudio Marrucci, Ignazio Gori, Antonio Veneziani e lo stesso Andrea Del Monte, che ha anche composto le musiche delle canzoni), alcuni tra i passaggi più interessanti. Walter Siti, curatore delle opere complete di Pasolini per I Meridiani di Mondadori: «Le caratteristiche che mi hanno sempre colpito sono tre: l’ingenuità quasi infantile che ha mantenuto fino alla vecchiaia, il coraggio di buttarsi nella mischia intellettuale senza troppo preoccuparsi delle conseguenze, la convinzione che la vita sia incontenibile dalla letteratura. Ognuna di queste caratteristiche (positive) è bilanciata dalla sua ombra negativa: la sciatteria nel documentarsi (come i bambini che credono di sapere già tutto), l’autocompiacimento nel pensare a se stesso come a un capro espiatorio, un vitalismo che finisce per svalutare le propria bravura tecnica». Enrique Irazoqui, attivista antifranchista, insegnante, scacchista di fama mondiale, interprete del ruolo di Cristo nel Vangelo secondo Matteo: «Un uomo dalle idee chiare, nette. I suoi litigi furenti a casa di Laura Betti mi impressionavano. Ma sapeva anche essere spietato. Ricordo che sul set del Vangelo fu capace di ricordare a sua madre della morte di suo figlio Guido, fucilato dai partigiani rossi durante la guerra, “solo” per farla piangere e far sembrare la scena più realistica».

Alessandro Golinelli, scrittore: «Una frase per definire la poetica pasoliniana? L’erotismo dell’innocenza». Citto Maselli, regista: «Quando riuscimmo a farlo eleggere presidente dell’Associazione nazionale degli autori cinematografici accadeva che in occasioni pubbliche e incontri politici (su una nuova legge per il cinema per esempio) lui non resisteva all’impulso di distinguersi e così a volte sosteneva tesi diverse da quelle che eravamo riusciti con fatiche inenarrabili a far accettare ad altre organizzazioni di categoria o sindacali. Con gran tripudio delle nostre controparti ministeriali democristiane… Credo che in realtà quello che lui non sopportava di me erano le mie origini borghesi, la mia parentela con Pirandello, le cene di Capodanno dove da me c’erano da Gadda a Visconti fino alla Magnani e a Paola Masino, Antonioni, Monica Vitti e Cesare Garboli…». Giuseppe Pollicelli, giornalista e regista, primo a occuparsi di Pasolini nel fumetto: «A Pino Pelosi è convenuto, malgrado tutto, non raccontare mai la verità. Il che non significa che dietro la morte di Pasolini vi sia per forza una verità grande, clamorosa. Forse vi è una verità – per così dire – piccola, umile nella sua crudeltà e nella sua infamia».

Ninetto Davoli, che dopo Il Vangelo secondo Matteo è protagonista con Totò di Uccellacci uccellini, sempre di Pier Paolo: «Nel Vangelo facevo il pastorello, poi è venuta, totalmente inaspettata, la proposta di recitare al fianco di Totò. All’inizio ero dubbioso, imbarazzato. Il mio lavoro era quello di lucidatore di mobili, falegname. Non mi vedevo assolutamente nelle vesti di attore. Ma Pasolini ha insistito molto e alla fine mi ha convinto. Nella mia ingenuità non potevo credere che sarei stato pagato per recitare addirittura al fianco di Totò». Renzo Paris, romanziere, poeta, critico, autore di Pasolini. Ragazzo a vita: «Era molto vitale, sia di giorno quando attivava fino all’estremo la sua intelligenza, sia di notte quando attivava il corpo … Molti gli invidiosi per il suo successo». David Grieco, regista e scrittore, autore del libro e del film La macchinazione sugli ultimi mesi di vita di Pasolini: «Pasolini non sarebbe mai riuscito a sopravvivere fino a vedere il mondo come è diventato oggi. E non per una questione di età. Secondo me sarebbe morto comunque cercando, purtroppo inutilmente, di impedire che accadesse ciò che è accaduto».

Federico Bruno, scultore, regista, autore del film Pasolini. La verità nascosta: «Pelosi servì da esca. È stato una pedina-oggetto ed è stato secondo me demonizzato ingiustamente. Non poteva certo sapere quello che sarebbe accaduto… Ma Pasolini si fidava di Pelosi, si fidava di Citti, si fidava soprattutto dei ragazzi delle borgate, li conosceva, conosceva soprattutto il loro modo di ragionare e di vivere, li amava in un modo tutto suo». Lucia Visca, giornalista, la prima cronista ad accorrere a Ostia alla notizia della morte di Pasolini: «Non ho mai avuto l’impressione che Pasolini badasse molto al femminile come specifico di genere… Lo ricordiamo anche per aver scritto: “Il problema non è di essere contro o a favore dell’aborto, ma a favore o no della sua legalizzazione. Ebbene, io mi sono pronunciato contro l’aborto e a favore della sua legalizzazione”. La posizione fece infuriare le femministe… Riletta oggi spiega perfettamente quale fosse l’interesse di Pasolini: la maternità». Fulvio Abbate, scrittore: «Ritengo che sia stato un delitto omosessuale, mi spiace che i perbenisti di sinistra non vogliano accettare la vocazione masochistica, se non autolesionistica, della persona».

Alcide Pierantozzi, romanziere e sceneggiatore: «Pasolini ha fatto cultura, altissima cultura, provocando. Forse il suo grande limite, cioè il tentativo di cambiare il corso di quel grande fiume chiamato realtà, è quello che oggi lo avvicina di più ai ragazzi, alle nuove generazioni. Certo, è stato un fallimento. Ogni tentativo di cambiare il mondo fallisce. Ma Pasolini non era un filosofo, era un poeta. Non poteva comprendere l’inevitabilità di certi moti della storia… È stato grande nella misura in cui sono stati grandi le sue sviste e i suoi errori… Quello che mi interessa di lui non è la denuncia sociale, ma è questo errore cosmico, leopardiano». Giulio Laurenti, romanziere e poeta: «Assassinato brutalmente. / Non solo per quello che era, / ma soprattutto per quello che rappresentava / e ti direi che da ragazzo io / sentivo usare il suo nome come insulto scagliato / ai giovani che non erano conformisti come tutti / essere Pasolini significa essere diverso e contro». Igor Patruno, scrittore: «Era solo, rabbioso, coraggioso, e come un vero poeta, viveva dentro l’apocalisse ed era in grado di giudicarla».

Pino Bertelli, giornalista, fotografo, film maker: «1958. Un poeta (Pasolini) incontra un ragazzo di strada, gli dona una macchina fotografica Rolleiflex e con quel semplice gesto lo salva dalla galera… Il cinema di Pasolini è un cinema che respinge dappertutto l’infelicità e – costi quel che costi – incita a fare della vita di ciascuno un’opera d’arte … Lungi dall’essere un porto, la sua cultura era un brulotto innescato contro tutte le forme di autoritarismo». Giovanna Marini, cantautrice e ricercatrice etnomusicale: «Credo che la lezione più grande che ci ha lasciato Pasolini è il bisogno di pulizia. Pulizia in quanto corrispondenza della parola al pensiero, del gesto alla parola e quindi al pensiero, e dunque di un’intera vita al pensiero, alla parola, al gesto… Un uomo che è riuscito in questa estrema profonda coerenza come Pasolini, se ci unisci anche il genio creativo di cui era pieno diventa un uomo pericoloso per il resto dell’umanità che vive nella nebbia, ma aspira, comunque, al potere».

Tullio de Mauro, linguista: «Due anni dopo l’assassinio consegnammo un documento presentato alla Casa della Cultura in sette: Giovanni Berlinguer, Laura Betti, Giuseppe Branca, Tullio de Mauro, Nino Marazzita, Stefano Rodotà. Accusammo formalmente la Procura Generale della Repubblica anzitutto di aver trascurato colpevolmente la sentenza di condanna che il giudice del Tribunale dei minori Carlo Moro aveva stilato contro il Pelosi stabilendo che con lui (come Pelosi uscito dal carcere aveva ammesso, continuando a tacere i nomi) avevano operato ignoti autori dell’assassinio… Concludevamo accusando la Procura di complicità con gli assassini di Pasolini. Pensavamo che la Procura avrebbe aperto un procedimento a nostro carico e speravamo che questo avrebbe comportato una ripresa delle indagini. Non accadde. Il non-accaduto, gli omissis segnano la nostra storia civile». Emanuele Trevi, critico e romanziere: «Per fare un esempio minimo ma significativo della società in cui è vissuto, mi ricordo che a scuola, dopo l’omicidio, i ragazzini si insultavano chiamandosi “pasolone”, un pittoresco equivalente di frocio. Ovviamente, era qualcosa che proveniva dagli adulti».

Franco Tovo, attore in Mamma Roma: «Le prime volte ci ritrovavamo con gli altri attori in una roulotte, dove ci spogliavamo e indossavamo altri vestiti per girare le scene… A un certo punto, per motivi di budget, decisero di fare a meno della roulotte e iniziammo a usare la macchina di Pasolini per lasciare i nostri vestiti. Era un’Alfa Romeo, che lui lasciava sempre aperta. Una sera scoprimmo che i ladri avevano rubato tutti i nostri panni. Pasolini ci diede subito un assegno a testa per ricomprarci i vestiti. Era una persona generosissima». Silvio Parrello, “Er Pecetto” del romanzo Ragazzi di vita: «Venni chiamato “Er Pecetto” perché pecetto viene da pecione, e mio padre, che faceva il calzolaio, usava la pece per aggiustare le scarpe. Ho incontrato Pier Paolo qui a Monteverde nel ’54, al campetto di calcio di Donna Olimpia, mentre giocava a calcio. Io avevo dodici anni. Era una persona gentilissima, quasi angelica… Per il calcio aveva una passione sfrenata. Una volta addirittura, a Mosca, dove era a girare un documentario, lo chiamarono da Roma dicendogli che a Nettuno c’era una partita di pallone; lui prese immediatamente l’aereo, si fece aspettare da un’auto all’aeroporto di Ciampino che lo portò a Nettuno dove giocò la partita. Fisicamente, era una persona molto forte. Una volta, a via dei Quattro Venti, litigò con quattro persone che l’avevano offeso, e le mise tutte e quattro ko. Era alto un metro e sessantasette e pesava solo cinquantanove chili. Una volta addirittura alzò una mucca dalle zampe anteriori, mettendosela sulle spalle… Era una persona generosissima… Quando veniva qui con la macchina lasciava gli sportelli aperti con delle monete nei tasconi di stoffa dove si riponeva il libretto, perché sapeva che andavano a prenderle i ragazzi meno abbienti».

Giancarlo De Cataldo, magistrato e scrittore: «Mi sono chiesto se PPP sarebbe diventato leghista, per esempio, disgustato dalla mutazione genetica della Sinistra e dalle delizie del politicamente corretto. Se l’ostinata vocazione allo scandalo (nel senso nobile e non ancora mercificato) lo avrebbe condotto a un’ennesima rottura con il passato… Credo che nessuno sia in grado di stabilirlo… Io so… Sapevamo in tanti. L’intera classe dirigente del Pci, all’epoca, sapeva. Oggi sappiamo tutti tanto, forse tutto, di ogni cosa. Ma questo, come accadeva al tempo di Pasolini, non ci ha reso in niente più forti, determinati, capaci di agire contro le ingiustizie e le discriminazioni. E anche il nostro sapere si è fatto mercato».