300 nuovi documenti, tra cui un inedito
Cento anni di Pier Paolo Pasolini, pubblicata la nuova edizione dell’epistolario

La nuova edizione dell’ampio epistolario di Pasolini – Pasolini, Le lettere, a cura di Antonella Giordano e Nico Naldini (scomparso alla fine del 2020) – si raccomanda come documento prezioso per capire lo scrittore, la cui opera si presenta come una interminabile, stremata autofiction. È la storia di un’anima (commovente perché assolutamente trasparente), di un’anima inserita in un preciso contesto e momento storico.
Dunque capitolo di una storia sociale del nostro paese a partire dal 1940 e per 35 anni, della mentalità, delle ideologie, del costume, dell’ethos collettivo, e pure di tante speranze disilluse, compilato da un testimone eccezionale (per acume psicologico, intelligenza “politica”, spirito di osservazione e totale sincerità nel rivelare i propri demoni). Impossibile rendere qui conto anche minimamente dell’epistolario, che si distende per quasi 1500 pagine, e che nella nuova edizione comprende 300 nuovi documenti e uno struggente testo inedito, una lettura inviata idealmente al fratello Guido, il giorno della notizia della sua morte, nella primavera del 1945. Mi limito a segnalare – sfiorando l’arbitrio – alcuni passi sparsi che mi sembrano di particolare rilievo.
Innumerevoli le lettere ai poeti, da Betocchi a Ungaretti, da Noventa a Bertolucci, da Sereni a Gatto – una “categoria” che gli era particolarmente cara, accanto ai ragazzi di vita – , però bisogna aggiungere che dei letterati tendeva a diffidare, per la ragione che “richiedono sempre delle opinioni, e io non ce le ho”. In una “domenica senza prospettive” del febbraio 1950 scrive alla cara amica Silvana Mauri che andrà a ballare con una ragazza che lavora alla Biblioteca Nazionale. E comunque con gli scrittori – da Calvino a Volponi – il suo rapporto, benché amichevole, resta sempre tormentato, polemico, a tratti rissoso: a Soldati scrive “tu non capisci niente di me”, rimproverandogli di avere “pensieri degni di Flaiano. Anche tu appartieni a quella razza?” (dove la “razza” è presumibilmente quella, ostica a Pasolini, dei borghesi moralisti e spiritosi del “Mondo”). Aggiungo solo che Pasolini, estraneo alla società letteraria, aveva pure l’ossessione dei premi, e in occasione dello Strega del 1959 (cui partecipa con Una vita violenta) tempesta amici e conoscenti (Quasimodo, Solmi, Palazzeschi…) di biglietti per invitarli a votarlo. Si tratta di una delle tante – spesso vitalissime – contraddizioni di Pasolini: maestro ma diffidente della pedagogia, comunista (fino alla fine) ma consapevole che il marxismo era diventato una retorica del Nuovo Potere, laico ma attratto dal “poco-razionale” e dal sacro, ossessionato dall’eros ma tentato dalla castità…
Sempre a Silvana Mauri, nella stessa lettera (si tratta delle lettere più intime, con una affettività debordante, come quelle alla adorata madre, “pitinicia”, e ad alcuni amici) confessa di essere nato per essere sereno, equilibrato e naturale: la mia omosessualità era un inpiù… Me la sono sempre vista accanto come un nemico”. Eppure, lui che “ha avuto il destino di non amare secondo la norma” dice anche che solo a Roma, dove si era da poco trasferito, si sente accolto e ha “trovato il modo di vivere ambiguamente”. In altre lettere sono contenuti giudizi acuminati, in forma di consigli, ad altri scrittori. Cito solo il commento, fatto all’autore, a un racconto di Arbasino: “Si desidererebbe che Lei fosse molto più semplice o molto più complicato, sì che le citazioni e le mimetizzazioni letterarie non risultassero ammiccamenti al lettore… le sue cose somigliano un po’ a camicie finissime stirate con troppo amido”. Il gusto di Pasolini ha l’aria di essere infallibile! O al giovane Massimo Ferretti, nel 1956: “… fai un po’ il super-uomo, estetizzi, ti compiaci del maledettismo e della solitudine… sii più parco, lima qualche sovrabbondanza”. In altri casi si affida a definizioni epigrammatiche: del “critico confusionario” come gli appare Angelo Guglielmi scrive che “vorrebbe fare del Cosmo un Caos. Tutto al contrario di me”.
Interessante la lettera del 1970 a Walter Siti, allora autore di una tesi di laurea su Pasolini e in seguito eccellente curatore dei Meridiani a lui dedicati: prima gli assegna trenta e lode, e ne elogia alcuni capitoli “bellissimi” ma poi lo accusa di moralismo predicatorio, di “adulazione ai forti” – il Movimento Studentesco è di quegli anni – e di averlo rinchiuso unilateralmente “in un triangoletto regressione-aggressività-narcisismo” attraverso una psicanalisi un po’ dilettantesca. Ne è tenero verso la rivista “Quaderni piacentini”, che lo stroncò attraverso Fofi (con il quale invece dovette schierarsi Fortini): in particolare a Piergiorgio Bellocchio, che giustamente lo avverte che nessuno può parlare di sé come “poeta” (da cui risulterebbe illuminata tutta la propria opera), replica che accusare di “immobilità” astorica il mondo sottoproletario e il proprio mondo interiore è arbitrario e soprattutto ideologico.
Ha pure uno scontro duro con l’amata Elsa Morante, la quale si lamenta per non essere stata pagata per la partecipazione al Vangelo secondo Matteo. Anche qui Pasolini sembra combattere soprattutto un riflesso moralistico nei suoi interlocutori. Alla Morante, chiamata “caro angelo mio” – che gli rimprovera la frequentazione dei Padri Farisei risponderà: “Non vedo perché dovrei escludere i Farisei ricchi, in quanto persone. In quanto classe sociale lo sai che non ho e non ho avuto nessun rispetto e non sono sceso a nessun compromesso” (e aggiunge che lui prova “rispetto” per ogni creatura, anche per il cane di Moravia e Dacia Maraini).
Infine suggerisco un prelievo, per certi versi illuminante su Pasolini, da una lettera decisamente anomala, che nell’ottobre 1975, poco prima di morire, scrive al neofascista Ventura, in carcere per la strage della Banca dell’Agricoltura (il quale si era rivolto strumentalmente a lui per avere una “sponda” favorevole durante il processo): “Vorrei che le sue lettere fossero meno lunghe e più chiare. Una cosa è essere ambigui, un’altra è essere equivoci. Insomma, almeno una volta mi dica sì se è sì, no se è no”. Già, in nome della complessità e “ambiguità” della condizione umana quanti comportamenti equivoci! Pasolini gli risponde citando il Vangelo e invitandolo ad una elementare limpidezza morale, che non è mai moralistica.
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