Ieri sono state depositate le motivazioni della sentenza di assoluzione di Lina Lucci, l’ex segretario generale della Cisl Campania finita sotto processo con l’accusa (infondata) di essersi indebitamente appropriata di oltre 200mila euro sottratti dalle casse del sindacato per spese personali. L’inchiesta nacque nel 2016: contro la Lucci ci furono la querela del commissario straordinario, la relazione dell’allora responsabile amministrativo e una serie di conversazioni da questi registrate ma trascritte con un’operazione di taglia e incolla che ha spinto il giudice a parlare di «un quadro fattuale la cui reale esistenza è dubbia e indimostrata» e a smontare le tesi dell’accusa punto per punto.

Quanto spazio avrà la notizia sui giornali? Quasi sicuramente non lo stesso riservato, a suo tempo, alle ipotesi della Procura. Perché, quando un processo si conclude e c’è finalmente la sentenza, i media non hanno più la capacità e il potere di restituire quello che hanno tolto e ridare ad assoluzioni e proscioglimenti la stessa eco riservata a sospetti e accuse. È un meccanismo perverso da cui ancora si fatica ad uscire. E al danno si aggiunge la beffa, se si pensa a certi paradossi. Quali? La storia di Lucci riporta alla memoria altri casi di assoluzioni eclatanti e appare come l’ennesimo esempio di personalità di rilievo pubblico sacrificata sull’altare delle lotte di potere interne. Il sacrificio si compie adendo le vie giudiziarie e l’effetto indirettamente ricade a pioggia sulla città, per cui un intero pezzo della classe dirigente napoletana viene messa da parte.

È accaduto con Antonio Bassolino, impegnato sul fronte dell’emergenza rifiuti in Campania e subito scaricato dal suo partito, il Pd, alla notizia delle inchieste della Procura, salvo poi essere assolto per ben 19 volte. È accaduto con Lorenzo Diana, l’ex parlamentare impegnato sul fronte dell’antimafia, sostituito alla presidenza del Caan di Napoli, per decisione del sindaco di Luigi de Magistris, dopo la notizia del suo coinvolgimento nell’inchiesta della Dda su Cpl Concordia: anche Diana è stato completamente scagionato (lo stesso pm ne ha chiesto l’archiviazione), ma dopo cinque anni di gogna. La stessa Lina Lucci era impegnata non solo all’interno del sindacato, ma anche in una battaglia pubblica per il rinnovamento del porto di Napoli: è stata fermata da un’inchiesta che si è conclusa con assoluzione «perché il fatto non sussiste», come ha spiegato il giudice nelle motivazioni.

In tutti questi casi la città si è ritrovata improvvisamente privata di una parte della classe dirigente per scoprire, a distanza di anni (nel nostro Paese la giustizia è lenta), che non c’erano prove e le accuse erano infondate. Ma è una scoperta che puntualmente arriva quando ormai nulla è come prima né può più diventarlo. Sicché i “buoni”, cioè gli assolti, restano fuori dai giochi o devono faticare non poco a risalire la china, e gli altri, anche chi ha una condanna seppure in primo grado (bisogna sempre essere garantisti!), sono richiamati e riammessi a un ruolo istituzionale. È l’impazzimento del sistema? Può darsi. Sta di fatto che la vicenda di Lina Lucci solleva più di una riflessione. Su certe selezioni effettuate su base giudiziaria, sulle zone grigie dell’associazionismo democratico, sui tempi (lenti) dei processi nelle aule di giustizia e su quelli (rapidissimi) nei salotti dei talk show.

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Napoletana, laureata in Economia e con un master in Marketing e Comunicazione, è giornalista professionista dal 2007. Per Il Riformista si occupa di giustizia ed economia. Esperta di cronaca nera e giudiziaria ha lavorato nella redazione del quotidiano Cronache di Napoli per poi collaborare con testate nazionali (Il Mattino, Il Sole 24 Ore) e agenzie di stampa (TMNews, Askanews).