Caro direttore,
prima dell’avvento dei social, anche i giornali sportivi erano più interessanti. I commenti del giorno dopo, gli approfondimenti da bordo campo, le cosiddette voci a caldo. Tutti, o quasi, inediti. Era interessante sapere, approfondire e per i tifosi incalliti, leggere con stizza o soddisfazione. Ovviamente il giorno dopo.

Il giorno dopo. Quando tutto è fatto e c’è solo da commentare o, quantomeno, riportare oggettivamente il risultato. È quel giorno, il mio giorno dopo, che mi ha sorpresa. In parte, perché poi, per fortuna, alcune emozioni si vivono guardandosi negli occhi. E quelle nessuno le può togliere o ridimensionare. Il resto mi ha sorpresa e lo ha fatto anche una parte della carta stampata. “Dove eravamo rimasti? “. Quante volte ho rivisto quella puntata di Tortora. Io, Nunzia, mi ero fermata a sette anni fa, Gennaio 2014. Ero rimasta a delle registrazioni fatte in una casa privata. Ero rimasta a 13 prime pagine che un giornale mi dedicò in soli 25 giorni. Si era così affezionato che, quando decisi di dimettermi da ministro, pensai a come sarebbe stato il giorno dopo. Non solo per quello che stavo programmando, per tutto il lavoro sui fondi comunitari che in Europa stavo portando avanti a tutela degli agricoltori italiani e delle nostre eccellenze. Pensai a quel giornale e lo immaginai così: tre semplici parole ‘’si è dimessa’’, condite da una mia foto da gigantografia giornalistica. E fu proprio così. Così scontata. Il giorno dopo.

Perché fino al giorno prima, senza essere neanche indagata, ero rimasta a decine di articoli, editoriali, servizi televisivi e approfondimenti speciali. Per me, per quella ragazza di provincia che in quel lungo mese di gennaio sembrava il centro del mondo. Il centro della bagarre politica. Al centro di un Paese dove esiste un vortice mediatico e giudiziario incredibile: persone che si sentono davvero unte dal Signore. Persone che ti condannano ancor prima della magistratura, ancor prima di un percorso processuale. E ti condannano per sempre. Almeno nella loro mente. Fango continuo, tutti i santi giorni. Con una penna in mano, con la connivenza di chi semina e mangia odio di appartenenza. Come pasto fisso, alternato al giustizialismo fervente.

Ero rimasta lì, a quel giorno dopo. E quando ho iniziato questo calvario giudiziario, ho sognato un altro giorno dopo. Quello dopo l’assoluzione, che puntualmente, per mia fortuna, è arrivato. Si è fatto attendere, ma l’ho visto e vissuto. Sono passati sette lunghi anni. Nel frattempo ho visto mia figlia crescere, andare all’asilo prima e a scuola poi. Di sofferenze, pianti, delusioni, calunnie e discorsi moralistici ne ho a bizzeffe nella memoria. In questi sette anni ho avuto momenti bui nei quali avrei aperto la finestra della disperazione. Per sempre. Ho pensato di aprire quella finestra per dire basta a tutta quella ingiustizia. Lo ammetto, con il cuore in mano. Non mi facevo capace, non riuscivo a farmene una ragione.

Io, cresciuta con i valori della legalità, iscritta a Giurisprudenza con un sogno del cuore, con il faro della giustizia a guidarmi, mi sono ritrovata in un processo assurdo. Accuse pesanti. Insinuazioni continue. Se sei un delinquente lo metti in conto un processo, fa parte dei rischi del mestiere, ma se sei una persona perbene no. Non pensi ti possa mai accadere. Non pensi che una assurda richiesta di condanna, ad 8 anni e 3 mesi di reclusione, possa davvero essere accostata al tuo nome. Ho i brividi solo a riscriverlo, a pensarlo. Eppure è capitato a me. Proprio a me.

Il giorno dopo, per alcuni, non ero mai esistita. L’11 Dicembre la mia rassegna stampa non era piena. Ero ingenua, ma forse me l’aspettavo. Per alcuni un vuoto di memoria, come se non avessi avuto mai nessun processo, nulla di nulla. Come se non fossi stata assolta. Perché il fatto non sussiste. Il fatto non sussiste! Le prime pagine trasformate in trafiletti. Brevi e sommari. Tranne il suo giornale, direttore, che mi ha dedicato una prima pagina. Che non dimenticherò mai. Perché è del giorno dopo. Il giorno del commento del risultato. Che può fare solo chi ha il coraggio della verità. Il coraggio dell’obiettività. Quello di cui abbiamo tanto bisogno nel nostro Paese.