Alcuni giorni fa il quotidiano Il Dubbio ha pubblicato un articolo del professor Guido Neppi Modona che portava i seguenti titoli “La Corte USA è politicizzata, da noi è libera”, e anche “ La Corte Suprema USA perde nel confronto con la Consulta che è di tutti”. I titoli rispecchiano appieno il contenuto dell’articolo e rivelano sia una scarsa conoscenza della Corte suprema degli USA sia anche una lacunosa riflessione su cose che l’autore dovrebbe sapere della nostra Corte Costituzionale di cui è stato giudice. Prima di commentare quanto da lui detto è opportuno ricordare molto sinteticamente al lettore il rilievo che assumono le corti costituzionali. Esse esercitano uno dei poteri di maggior rilievo politico in democrazia, e cioè quello di dichiarare incostituzionali le leggi approvate dalle assemblee legislative, cioè dalla maggioranza dei rappresentanti della sovranità popolare.

Proprio per il grande rilievo politico delle loro decisioni, negli altri paesi a consolidata tradizione democratica la maggioranza o la totalità dei giudici costituzionali viene eletta dagli organi rappresentativi della sovranità popolare o comunque sottoposta al controllo di quegli organi (Germania, Spagna, Portogallo, Francia, Austria, Stati Uniti, ecc.). In Italia, invece, solo un terzo dei giudici costituzionali (5 su 15) vengono eletti nell’ambito del processo democratico, cioè dal Parlamento. Gli altri due terzi vengono scelti in totale autonomia da organi non eletti dal popolo, senza che al Parlamento venga attribuito alcun potere di verifica delle scelte effettuate, né per quanto concerne le loro qualificazioni, né per quanto concerne il pluralismo dei loro orientamenti.

In buona sostanza Neppi Modona fa dipendere la superiorità della nostra Corte dal sistema di reclutamento dei giudici. Negli USA la corte, composta da 9 giudici, sarebbe politicizzata e non garantirebbe terzietà perché i nominativi dei candidati sarebbero scelti dal Presidente e il necessario consenso del Senato alla loro nomina sarebbe solo “marginale”. Forse sarebbe sufficiente dire che è meglio un controllo marginale che nessun controllo come avviene da noi per i due terzi dei nostri giudici. Battute a parte, è opportuno ricordare che di fatto, il controllo del Senato americano, contrariamente a quanto affermato da Neppi Modona, non è affatto marginale. I Presidenti americani compiono spesso accurati accertamenti preventivi sulle qualificazioni, i trascorsi e la natura delle risorse finanziarie dei candidati che propongono per evitare di essere sconfessati in Senato. Non solo, ma i candidati del Presidente vengono convocati dal Senato e spesso sottoposti a stringenti interrogatori sui loro orientamenti e/o sui loro trascorsi. Tra i diversi casi mi basti qui ricordarne due: la prolungata contestazione in Senato del giudice di colore Clarence Thomas proposto dal Presidente G. Bush, oppure il caso di Abe Fortas, designato da Lyndon Johnson come presidente della Corte Suprema che non ricevette la nomina perché le critiche e le prolungate contestazioni in Senato costrinsero il Presidente Johnson a ritirare la sua candidatura.

Neppi Modona «valuta negativamente» anche che «la Corte suprema possa essere formata in grande maggioranza da giudici del partito del presidente». In buona sostanza Neppi Modona sostiene che i giudici proposti dal Presidente una volta nominati siano fedeli esecutori della sua volontà politica a livello giudiziario. Di fatto, a causa della nomina a vita dei giudici americani e dell’alternarsi dei Presidenti, solo rarissimamente avviene che vi sia una schiacciante maggioranza di giudici nominati dal presidente in carica o da predecessori del suo stesso partito. Ciò non è avvenuto nel corso degli 8 anni della presidenza di Bill Clinton, non negli 8 anni della presidenza di George W. Bush o Barack Obama, e neppure nei quattro anni della presidenza di Donald Trump. Nel dopoguerra, cioè negli ultimi 75 anni, l’unica eccezione di una schiacciante maggioranza di giudici nominati da un presidente è quella verificatasi nel corso della presidenza “repubblicana” di Eisenhower (il concorso di eccezionali circostanze fecero sì che quel presidente abbia potuto, in otto anni, promuovere la nomina di ben 9 giudici). Neppure in questo caso si verificarono le fosche previsioni di Neppi Modona di un asservimento della corte alle aspettative politiche del presidente. Al contrario. Sotto la forte leadership del presidente della Corte di quel periodo, Earl Warren, ex governatore repubblicano della California, le decisioni della Corte assunsero connotazioni marcatamente liberali nel campo dei diritti civili (come la desegregazione delle scuole e dei luoghi pubblici e come la protezione dei diritti dei cittadini nel processo penale) e generarono, secondo l’unanime indicazione degli studiosi della materia, una profonda irritazione del Presidente Eisenhower che lo aveva scelto.

Tra le molteplici ragioni che Neppi Modona adduce per sostenere che la nostra Corte Costituzionale, a differenza di quella USA, non è politicizzata ma “è di tutti” vi sarebbe anche il fatto che il presidente della Repubblica, nominando a sua discrezione 5 dei 15 giudici, potrebbe riequilibrare gli orientamenti politici dei giudici costituzionali eventualmente pregiudicati dalle 5 nomine parlamentari che sono «di natura politica». Una affermazione davvero stupefacente. Di fatto è vero il contrario. È un sistema di nomina che può provocare, e ha in effetti generato, vistosi squilibri nella composizione della corte. Basti ricordare che tutti e nove i giudici nominati dai presidenti Scalfaro e Ciampi sono stati scelti tra persone che chiaramente appartengono all’area politica del centro-sinistra. Quattro su nove (Contri, Flick, Gallo, Cassese) erano stati anche ministri nei governi presieduti da Ciampi e Prodi. Forse questo sistema – esclusivamente italiano – piace a Neppi Modona perché è quello che gli ha consentito di divenire giudice della Corte (è stato nominato dal Presidente Scalfaro).

Aggiungo che, mentre è certamente lecito ritenere che quelle nove nomine fatte da Scalfari e Ciampi abbiano determinato uno squilibrio negli orientamenti della Corte a favore di una parte politica, non è possibile verificarlo perché, a differenza della Corte suprema statunitense, la nostra Corte non ha mai voluto rendere pubblici gli orientamenti decisori dei singoli giudici né consente di far conoscere ai cittadini le motivazioni dei giudici che non sono d’accordo con la maggioranza su questioni che sono spesso di vitale interesse per loro. Aggiungo che in nessun altro paese a democrazia consolidata è consentito che un singolo soggetto – per autorevole che sia – possa compiere una scelta tanto importante in piena discrezionalità e senza alcun controllo. Ciò non avviene neppure in quei paesi, come Francia e Austria, ove al presidente della Repubblica si attribuisce il compito di nominare alcuni giudici costituzionali. Utilizzando i criteri forniti da Neppi Modona si dovrebbe anche dire che la corte costituzionale più politicizzata sarebbe quella della Germania perché tutti i suoi componenti vengono eletti dai politici che siedono in Parlamento.

Due postille. La prima: la letteratura sulla Corte suprema degli USA è vasta. Non ignoro che oltre all’alto apprezzamento di cui è oggetto vi siano anche le critiche che nel corso degli anni vari studiosi hanno rivolto al suo operato sia per le decisioni assunte in alcuni casi che per i ritardi con cui ha deciso di pronunziarsi in altri. Qui mi sono occupato solo delle critiche avanzate da Neppi Modona.
Seconda postilla: per avvalorare le sue affermazioni Neppi Modona cita “il costituzionalista” Vladimiro Zagrebelsky facendogli testualmente dire che: «Negli USA la Corte è giudice solo per una parte della società, quella che si riconosce nel partito del Presidente». Zasgrebelsky che conosco io è persona di buone letture e di cultura non provinciale. Mi sembra veramente difficile che abbia detto quelle cose, ma non si sa mai.