La pubblicazione del libro di Paolo Landi, Oliviero Toscani. Comunicatore, provocatore, educatore, edito da Scholé nel 2025, non è stata solo un tributo a Oliviero, ma si inserisce idealmente nel sessantesimo anniversario della storia di Benetton. Infatti, le riflessioni di Landi – che ha trascorso venti lunghi anni alla direzione pubblicità dell’azienda – mi hanno permesso in questo periodo di pensare al marchio Benetton e soprattutto di voler capire cosa sia rimasto oggi dell’eredità di Oliviero. Ma prima di approdare a una riflessione in merito occorre puntualizzare alcune questioni per nulla scontate e che è bene non rimangano nell’ombra.

In sessant’anni Benetton ha “attraversato” la nostra storia e con il suo marchio è riuscita anche a costruirla, nonostante le molte difficoltà dovute alle leggi di mercato. Difficoltà che, poco alla volta, sono state superate grazie al sostegno della famiglia Benetton e al ruolo apicale che ha sempre ricoperto, come anche alla partecipazione dei propri capitali per tenere in piedi una realtà che, negli ultimi anni, è stata segnata da ingenti perdite e che a breve giungerà alla parità di bilancio. Perdite di bilancio che si sono manifestate negli anni dopo che Oliviero ha interrotto la collaborazione con l’azienda e in concomitanza del passaggio generazionale tra i Benetton fondatori e i figli. Di certo Oliviero non delineava le politiche commerciali, ma orientava la comunicazione, e il fatto che il declino sia coinciso con il cambio di comunicazione dovrebbe aiutare a farci riflettere.

Tutti gli sforzi compiuti dalla famiglia Benetton – basti pensare che Luciano Benetton lasciò l’azienda nel 2008 per poi “ritornarci” in qualità di Presidente nel 2017 – sono stati compiuti perché il loro marchio è diventato nel tempo l’espressione dell’eccellenza italiana. Dove molti avrebbero chiuso i battenti, i Benetton hanno voluto, anche attraverso il loro impegno personale, rimanere alla guida e continuare ad essere “segno” di una storia che deve continuare ad essere “scritta” e “attraversata”. Alle difficoltà legate alle logiche di mercato si aggiunge anche in questo periodo la necessaria alternanza generazionale interna alla famiglia Benetton. Un marchio che, pur essendo legato alla figura di Luciano Benetton, ora vede in prima linea il suo secondogenito Alessandro. Oggi, al termine della riorganizzazione, Benetton Group conta 3.000 negozi fisici in tutto il mondo. «Anche in ambito di prodotto, l’evoluzione del brand è sempre più volta a consolidare il dialogo con le nuove generazioni, valorizzando le proprie radici attraverso uno sguardo autenticamente contemporaneo».

A mio avviso, il raggiungimento della parità di bilancio non è l’ostacolo più importante che Benetton dovrà superare. L’“eredità” di Oliviero Toscani e come riuscire a “incarnarla” rimane la sfida più grande da dover cogliere per il gruppo dirigenziale. Infatti, in Benetton non si potrà sfuggire all’operato di Luciano Benetton come a quello di Oliviero Toscani, pur con il passare del tempo e con i necessari cambi generazionali. Occorre subito chiarire che ogni qual volta si parla di Benetton è impossibile separare l’“azione” di Oliviero da quella di Luciano Benetton. Oliviero ha potuto realizzare le sue campagne pubblicitarie e seguire il flusso delle sue “intuizioni” dal momento che era sostenuto da Luciano Benetton. Non è un mistero – d’altronde a dichiararlo era lo stesso Oliviero – che lui aveva molti “nemici” in Benetton e persone che, non comprendendo le sue “sfide”, cercavano di ostacolarlo. Nonostante queste difficoltà, Oliviero era libero, grazie a Luciano Benetton, di proseguire con il suo lavoro anche avendo “molti” contro. Che Oliviero non fosse una persona facile o con la quale “trattare” anche questo non è un mistero, soprattutto alle persone che lo affiancavano. D’altronde neanche Oriana Fallaci, per citare un altro esempio di una personalità “complessa”, lo era; ma a persone così geniali, come lo erano loro, cosa gli si poteva recriminare?

Quando negli anni 2000 conobbi Oriana in un incontro all’Università Lateranense di Roma – la giornalista veniva lì appositamente per donare parte del suo lascito – fui impressionato dall’unanime coro di avvertimenti su alcuni tratti del suo carattere: descrizioni dalle quali derivava una donna bisbetica e sempre sul piede di guerra per accendere discussioni. Pertanto, fui avvertito di non impressionarmi, anche perché in un incontro precedente, avuto sempre in Laterano, Oriana sbraitava perfino con chi le passava le penne per siglare con la sua firma i libri che donava alla biblioteca dell’Università. In quella occasione molte penne sembravano non funzionare e Oriana era inferocita con chi gliele forniva. Tutti questi avvertimenti sul carattere di Oriana mi lasciarono interdetto, anche perché l’Oriana che io conoscevo e di cui mi innamorai era l’Oriana scrittrice, l’Oriana dei suoi libri, la pensatrice e nulla di più. E sin da quegli anni capii che la vita di un artista, in questo caso di Oriana, può creare degli stereotipi e può rischiare di imprigionare la persona fino a non permettere all’interlocutore di andare “oltre”.

In effetti, decisi allora di non lasciarmi condizionare dalle “voci” di corridoio e di relazionarmi all’Oriana pensatrice, scrittrice, senza dare troppa importanza al timbro del suo carattere. E mentre tutti gli altri facevano pesare nel loro modo di relazionarsi con lei il suo essere un “mostro sacro”, decisi invece di relazionarmi a lei in quanto “persona”, e questo poi è stato il successo della nostra conoscenza.
Tornando a Oliviero, egli ha potuto esprimere la sua “arte” con estrema libertà a Benetton, grazie al sostegno e al ruolo dirigenziale di Luciano Benetton. E quando il 14 aprile 2000 Oliviero “decide” liberamente di lasciare Benetton, conserva sempre ottimi rapporti con Luciano, tanto che quest’ultimo, quando nel 2017 torna alla dirigenza di Benetton, richiama accanto a sé Oliviero. È bene precisare che Oliviero ha lasciato Benetton nel 2000 perché voleva fare altre esperienze, aveva già altri contratti, e non voleva rinchiudere la sua esperienza unicamente in Benetton. Altre voci che vogliono vedere un Oliviero allontanato da Benetton nel 2000 rimangono solo “voci”, chiacchiere di corridoio. La lunga amicizia professionale di Oliviero con Luciano Benetton non ha mai avuto interruzioni e durò fino agli ultimi istanti di vita di Oliviero.

Resta il fatto che, con la morte di Oliviero, anche Fabrica, fondata nel 1994, è stata “chiusa”. La scuola di comunicazione voluta da Oliviero Toscani, e dalla quale molte generazioni sono state formate e da cui sono usciti molti artisti, rischia oggi di divenire un “cimelio del passato”. Comprendo molto bene l’impegno dei Benetton di aver tenuto per molti anni in piedi l’esperienza di Fabrica, come anche comprendo che non c’è un altro Oliviero e che ogni tentativo di emularlo rischia di divenire un banale scimmiottamento, ma resta sospeso quel domandare: come salvare l’eredità di Oliviero Toscani? È possibile nel prossimo futuro una Benetton che possa fare a meno dell’impronta di Oliviero e del suo impegno sociale? A mio avviso, questa è la sfida più dura che la Benetton ha sul suo cammino di riorganizzazione. Dal momento che molte persone sono state in Fabrica formate da Oliviero, una formazione che risente del suo impegno politico e sociale, a mio avviso sarebbe “necessaria” per continuare l’esperienza di Fabrica, anche perché il marchio Benetton è intimamente legato a un impegno sociale che non può essere disatteso. Fabrica era un centro di sperimentazione sulla comunicazione non focalizzato solo sull’azienda che lo finanziava, ma aperto al mondo. Oliviero cercava talenti che potessero aprire nuove visioni sull’arte, il cinema, la musica, il design, la comunicazione e non che vendessero maglioni colorati.

Avendo avuto modo di confrontarmi con alcuni in Benetton ho compreso come Benetton ora persegua nelle sue campagne pubblicitarie uno stile più «sobrio» e che sia però al passo con i tempi. Ho voluto riflettere su questa affermazione e soffermarmi proprio sulla definizione di «sobrio»: Oliviero ha inventato la sobrietà estetica. Cosa c’è di più sobrio di uno sfondo completamente di luce (bianco) senza orpelli di alcun tipo? Il suo linguaggio essenziale è stato il più sobrio della storia della pubblicità. Mi verrebbe da dire che non è immaginabile un linguaggio più sobrio. Forse si può parlare di “messaggio” più sobrio (perché non fa pensare), ma non di uno stile. «La realizzazione della nuova campagna Fall Winter 25 di United Colors of Benetton è stata affidata al giovane artista digitale italiano Rick Dick, capace di amplificare i codici estetici del marchio attraverso l’utilizzo dell’intelligenza artificiale». Ho potuto analizzare una parte della campagna Fall Winter 25 di United Colors of Benetton attraverso le immagini che mi sono state inviate da Simone Da Ros, archivista in Benetton. Subito ho apprezzato una caratteristica del marchio, i «colori» della maglieria, come anche la centralità del volto delle persone. «La campagna riflette a pieno la nuova visione di United Colors of Benetton, dove l’utilizzo dell’intelligenza artificiale amplifica i codici estetici del marchio».

Non entro nel merito del lavoro svolto da Rick Dick, artista digitale italiano che esplora le intersezioni tra estetica, tecnologia e temi sociali attraverso l’intelligenza artificiale. Ma pur volendo analizzare questa campagna pubblicitaria mi sorgono delle domande che saranno motivo di riflessioni in futuro: per stare al passo coi tempi era necessario ricorrere all’intelligenza artificiale? Dove è andata a finire la lunga tradizione di Benetton dove ogni campagna pubblicitaria aveva alle spalle una seria riflessione con un taglio sul sociale? Cosa resta “oggi” in Benetton di Oliviero? Chi si ricorderà in futuro della campagna firmata da Rick Dick, dal momento che a me appare una fra le tante? Qual è l’“impronta” che Rick Dick vuole consegnarci? Non sarebbe stato meglio recuperare l’eredità di Oliviero e trovare una riflessione che potesse attraversare la nostra società? L’intelligenza artificiale lavora al nostro posto e non inventa nulla, elabora ciò che esiste ed è di grande aiuto sul già visto. Tutt’altra cosa è l’operato di Oliviero: lui “inventava”, trovava percorsi mai intrapresi. Il genio di Oliviero non potrà mai nascere dall’intelligenza artificiale.

A mio avviso alla campagna pubblicitaria di Rick Dick mancano valori da esprimere, manca un’etica. Manca la “provocazione” di Oliviero, intesa come fermarsi a pensare, a riflettere, a porsi delle domande, un dover prendere una posizione con o contro il messaggio. Questa mia constatazione non vuole essere una critica, ma solo una riflessione che affido alla famiglia Benetton – in particolare a Luciano Benetton – affinché ci aiutino a percorrere nel marchio una via al pensiero per come siamo stati negli anni formati da Luciano Benetton e Oliviero.

Francesco Alfieri

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