Il ruolo del Presidente della Repubblica nel nostro sistema costituzionale – ruolo di garanzia e di orientamento costituzionale dell’autonoma attività parlamentare e di governo – condanna tradizionalmente il Capo dello Stato a discorsi, come dire, di alto profilo istituzionale ma di prudente genericità contenutistica (fatto salvo il peculiare ed eccezionale strumento del messaggio alle Camere, naturalmente). Dunque sappiamo da sempre cosa sia lecito attendersi dai discorsi ufficiali del Presidente, anche dai più solenni quali quello di insediamento, o quelli consueti di fine anno: richiami ai principi costituzionali, sollecitazioni nella scala delle priorità valoriali, moniti sull’etica pubblica e sulla doverosa nobiltà della politica, solidarietà ed attenzione verso i più deboli.

Ferme queste premesse, è difficile non cogliere nelle parole che il Presidente Mattarella ha rivolto alle Camere riunite in occasione del suo secondo insediamento al Quirinale, un segnale di novità proprio sullo specifico tema della riforma della giustizia. Non fosse altro perché, al contrario, sul tema questo Presidente è stato sempre molto parco. Salvo errori, non ho ricordo di significativi interventi del Presidente Mattarella, in questi primi sette anni, che ponessero al centro della sua attenzione i principi costituzionali del giusto processo, della presunzione di non colpevolezza, della eccezionalità della privazione della libertà personale prima di una definitiva sentenza di condanna, della finalità rieducativa della pena. Sulla stessa riforma dell’ordinamento giudiziario egli, pur presiedendo il Consiglio Superiore della Magistratura nel periodo certamente di più grave crisi nella storia repubblicana, non è in realtà mai andato oltre generici richiami di principio ad un riscatto etico e morale del potere giudiziario.

Anche per contrasto con questo suo consolidato atteggiamento, le parole sulla riforma della giustizia spese in questa seconda cerimonia di insediamento, pur sempre costrette nella cornice istituzionale propria del ruolo, colpiscono per la loro inedita forza. Le sollecitazioni circa la necessità che la magistratura recuperi credibilità agli occhi dei cittadini (“sentimento fortemente indebolito”) non sono certo nuove. Lo è molto di più, invece, la riflessione successiva, per la quale i cittadini «neppure devono avvertire timore per il rischio di decisioni arbitrarie e imprevedibili che, in contrasto con la certezza del diritto, incidono sulla vita delle persone». Una riflessione secca, dura e chiara che considera finalmente la giustizia penale anche dal punto di vista di chi ne subisce l’esercizio. Se rimanete scettici rispetto a questa mia riflessione, vi invito a leggere il Fatto Quotidiano di oggi: “Mattarella bis: 55 applausi, soprattutto contro i giudici”. E di lato, il direttore Travaglio riserva nel suo editoriale commenti astiosi esattamente alle stesse parole che vi ho ora riportato.

Non solo: per la prima volta il Presidente sottolinea come «Magistratura ed Avvocatura sono chiamate ad assicurare che il processo riformatore si realizzi, facendo recuperare appieno prestigio e credibilità alla funzione giustizia». È un richiamo esplicito al ruolo cruciale dell’Avvocatura in ogni serio percorso di riforma della giustizia, che sarebbe sciocco non apprezzare e valorizzare. Soprattutto considerando che proprio sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, diversamente che in tema di riforma del processo penale, Governo e Parlamento hanno scelto di escluderci da ogni tavolo di discussione, percorrendo la strada, sterile e pericolosa, del confronto esclusivo con la magistratura associata, chiamata dunque, contro ogni logica, a riformare sé stessa.

Se infine consideriamo il richiamo al sovraffollamento carcerario come intollerabile offesa alla dignità umana, possiamo a buona ragione salutare con vivo apprezzamento nelle parole del Presidente della Repubblica il segno di una nuova attenzione ai temi della giustizia penale, declinata anche sul versante di chi ne subisce i morsi, e non più solo delle virtù di chi l’amministra. Il tempo ci dirà se si tratta di una rinnovata sensibilità del supremo garante della nostra Costituzione, come la solennità dell’occasione ci autorizza a credere, e comunque a sperare.

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