Capita a ciascuno di noi, e assai più di quello che forse percepiamo, di nascere due volte. Il 3 febbraio 2021 Mario Draghi accettava dalla mani del Presidente Mattarella l’incarico di formare un governo senza identità di parte ma di tutti per portare l’Italia fuori dalla sabbie mobile della pandemia e della crisi economica. Quella storia lì è finita ieri – con buoni risultati – esattamente un anno dopo e ne è subito iniziata un’altra, diversa, portata avanti da chi la iniziò un anno fa.

Ecco perché al di là delle emozioni che il rito regala ogni volta – la campane, i corazzieri, i colpi a salve del cannone, la Flaminia, le Frecce tricolori e il “popolo” lungo la strada a battere le mani “grazie Presidente” – questa tredicesima Presidenza della Repubblica non deve essere vista come il prolungamento dell’altra. Ma, appunto, l’inizio di una stagione nuova e diversa che deve ricercare obiettivi e criteri per disegnare l’Italia che verrà nel dopo emergenza. “Il nostro compito è costruire un’Italia più moderna” ha detto il Capo dello Stato. Detto da un’ottantenne chiamato per il secondo mandato consecutivo alla più alta carica dello Stato è una frase quasi rivoluzionaria. Difficile dire quando siano stati gli applausi nei 45 minuti di discorso. In prativa la seduta è stata un applauso continuo, da quando Mattarella è entrato nell’emiciclo fino a quando è uscito.

Meno affettuosi Fratelli d’Italia ma anche Giorgia Meloni, quella del “no-Mattarella”, alla fine ha dovuto applaudire. Mario Draghi è stato accolto con una standing ovation. Un applauso liberatorio. Preso atto che il Parlamento non lo avrebbe lasciato salire al Quirinale, c’era bisogno di sgomberare il campo da dubbi, timori e fraintendimenti. Operazione compiuta. Chi si aspettava ramanzine e critiche ai parlamentari per lo stallo lungo una settimana e l’incapacità di trovare l’accordo su un nuovo Presidente, deve oggi raccontare un’altra storia. Cambiare proprio prospettiva. Che c’entra, “la nuova chiamata è stata inattesa” e i giorni sono stati “travagliati”, per tutti, per il Parlamento e “anche per me”, perché il rischio di una crisi politica che potesse – e ancora possa – bloccare le chance di ripresa del Paese erano e sono ancora molte. Troppe.

Le dodici pagine del discorso del Presidente, contengono in realtà una vera e propria agenda politica per evitare “ritardi e incertezze” e “costruire un’Italia più moderna”. Al primo posto ci sono le “nuove difficoltà: se la lotta contro il virus non è conclusa e i vaccini restano l’unica arma disponibile, adesso per famiglie e imprese il problema è l’inflazione e l’aumento dei costi dell’energia. Il secondo punto in agenda è “la lotta alle diseguaglianze, territoriale e sociali” perché l’obiettivo comune deve essere un “paese che cresce in unità” e quindi che offre ai giovani “percorsi di vita nello studio e nel lavoro”, che sappia “superare il declino demografico”, impegnato nella “tutela dell’ambiente e della biodiversità”, responsabile nei confronti delle future generazioni. Nell’agenda Mattarella c’è l’esigenza di avere “un’Europa più efficiente e giusta”, rendendo ad esempio “stabile e strutturale la svolta compiuta nei ignori più impegnativi della pandemia”. Non è esplicito, ma il riferimento è al dibattito che si svilupperà a breve su quali regole e quali vincoli per un nuovo patto di stabilità. E a tutto quello che ancora non è stato fatto rispetto al tema delle migrazioni e dell’accoglienza e contro l’immigrazione clandestina. Il riconoscimento al governo Draghi “intensamente impegnato” per una nuova stagione di crescita è forte e esplicito.

Nell’agenda Mattarella c’è anche una “riflessione sul funzionamento delle nostra democrazia”, tema da qualche giorno sulla bocca di molti che semplificano accusando “la politica che è morta” e il Parlamento “fallito”. Da qui, secondo illustri osservatori, la necessità di un cambiamento radicale. Ad esempio l’elezione diretta del Capo dello Stato che è, neanche farlo apposta, il primo punto dell’agenda di Giorgia Meloni e di buona parte della destra. Mattarella ha invece riconosciuto centralità al Parlamento che ha compiuto la sua scelta mentre le segretarie e i leader si facevano reciproche imboscate. Qualcosa va cambiato, non c’è dubbio. “La velocità dei cambiamenti richiama il bisogno di un costante inveramento della democrazia” per governare i cambiamenti “con risposte tempestive” che devono però essere sempre “sorrette dall’indispensabile approfondimento dei temi”. Per tenere unite due esigenze irrinunciabili – rispetto dei percorsi di garanzia democratica e tempestività delle decisioni – “è cruciale il ruolo del Parlamento come luogo della partecipazione”.

A questo punto l’aula di Montecitorio è esplosa nell’applauso di quei tanti cosiddetti “peones” che fin dall’inizio delle votazioni la scorsa settimana hanno tenuto accesa la luce sul bis di Mattarella. Andando anche contro il valore delle rispettive segretarie. Parliamo di Pd e di 5 Stelle. Ed è a questo punto che qua e là nei banchi si sono viste lacrime ed emozioni. Critiche arrivano al governo che ricorre troppo spesso alla decretazione d’urgenza “impedendo al Parlamento di esaminare i provvedimenti”. Ciò detto, “la forzata compressione dei tempi parlamentari rappresenta un rischio non minore di certe dannose dilatazioni dei tempi”. Quello di Mattarella è un richiamo molto simile a quello fatto sabato scorso da Giuliano Amato, neo eletto Presidente della Corte Costituzionale. Sono stati insieme alla Corte. Amato, a lungo tra i quirinabili, ha seguito la cerimonia da Tribuna d’onore. Nell’agenda Mattarella ci sono i partiti che vanno rifondati perché da loro dipende “la qualità e il prestigio della rappresentanza”: “Senza partiti coinvolgenti il cittadino è più solo e più indifeso”. L’aula applaude, una volta di più. L’appello è alla segreterie: così non va.

Poi ci sono la scuola, la cultura “elemento costitutivo dell’identità italiana”. Qui, a braccio, Mattarella ha voluto citare Monica Vitti. Al capitolo giustizia il Capo dello stato riserva le critiche più aspre perché “i cittadini devono poter nutrire convintamente fiducia e non diffidenza verso la giustizia e l’ordine giudiziario”. Il Parlamento è chiamato a breve ad importanti riforme – del Csm e dell’ergastolo ostativo oltre che i decreti delegati della riforma del processo penale – e guai se “magistratura e avvocatura non assicurano la realizzazione del processo riformatore”. L’agenda del Presidente ha un principio cardine, unico e trasversale: la dignità, “pietra angolare del nostro impegno e della nostra passione civile”.

Dignità è tutto: azzerare le moti sul lavoro, impedire la violenze sulle donne, il diritto al lavoro e allo studio, un paese libero dalle mafie e con un’informazione libera e indipendente. Elenco lunghissimo. L’appello alla dignità può essere letto allo specchio. E diventare un rivoluzionario appello ad indignarsi. Le ovazioni dell’aula non cancellano i timori per una navigazione del governo assai complicata. E allora ci ricorderemo gli applausi all’agenda politica di Mattarella. Non sarebbe neppure la prima volta.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.