I presenti la raccontano così. Ieri pomeriggio, palazzo Chigi, sala del Consiglio dei ministri, la prima dopo la settimana di Romanzo Quirinale. Tutti presenti. Ordine del giorno: alcune misure anti Covid in scadenza oggi, ad esempio obbligo mascherine all’aperto e chiusura discoteche. Tutti pronti ad aspettarsi chissà che e chissà cosa, prove di forza, di debolezza, prove di qualcosa. Vendetta, ad esempio, contro chi tra i presenti ha tramato contro lo schema del premier che diventa Presidente. Come se uno come Draghi facesse trasparire qualcosa. Al di là della “Sfinge”, è una questione di etica, orgoglio ed educazione. Il premier legge il provvedimento e spiega che d’accordo con il Cts è preferibile rinviare l’apertura delle discoteche al 15 febbraio.

A quel punto prende la parola il ministro del Turismo, il leghista Garavaglia. Che col suo modo pacato e sornione dice: “Scusi Presidente, ma secondo lei a S. Valentino, discoteche aperte o meno, i fidanzati e di ogni età tengono la distanza di sicurezza?”. Risata generale, a cominciare da Draghi. Che s’è convinto: “Ha ragione ministro, giusta considerazione, allora la proroga è fino al giorno 10…”. Che è il primo passo per avere le discoteche aperte da martedì 15 febbraio. Che poi era quello che chiedeva la Lega. L’ironia è da sempre un’arma strepitosa. Difficile dire ora se sarà “più forte” o “più debole”. A di là di tante certezze di illustri opinionisti e osservatori, i fatti ci dicono che sicuramente il governo Draghi vuole “correre” e recuperare il tempo perduto nell’ultimo mese di romanzo Quirinale. “Fare le cose – ragionava ieri sera una ministra lasciando palazzo Chigi alla fine del Consiglio dei ministri – è il modo migliore per rispondere a chi già adesso ha iniziato la campagna elettorale”.

E figurarsi cosa succederà col passare del tempo. O forse, questo qualcuno che al momento è certamente Giorgia Meloni ma anche la filiera delle cosiddette “vedove di Conte” sparse qua e là nella maggioranza, l’ha già iniziata la scorsa settimana. Perché, in fondo, cosa è stata la settimana delle urne presidenziali se non – soprattutto nel centrodestra ma anche nei 5 Stelle, un po’ meno nel Pd – un clamoroso congresso di partito e di coalizione amplificato dalla diretta tv? Non sarà facile, pesano le tossine della battaglia appena lasciata alle spalle, ma il premier sa che ora una nuova partita, libera dallo schema Quirinale e con due certezze: il bis di Mattarella è la garanzia non assoluta ma molto alta; in ogni partito c’è una quota più o meno ampia di filogovernisti su cui fare affidamento. Infatti è Mattarella il punto di inizio della Fase 2. “Vorrei prima di tutto salutare insieme a tutto il Governo l’elezione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e ringraziarlo per la decisione di rimanere per un secondo mandato. Le priorità che ha espresso – la lotta alla pandemia e la ripresa della vita economica e sociale del Paese – sono le stesse del Governo”.

L’agenda della Fase 2 è così fissata. Nella cassetta degli attrezzi ci sono i dati diffusi ieri mattina dall’Istat: il pil è cresciuto del 6,5%, ben oltre ogni aspettativa, siamo il secondo paese (motivo per cui Bruxelles ha fatto sapere che i fondi del Next Gen Eu potrebbero essere limati). Questa crescita, ha rivendicato il premier “è il risultato di una ripresa globale e delle misure messe in campo dal governo, a partire dalla campagna di vaccinazione e dalle politiche di sostegno all’economia”. Certo, i problemi e le emergenze sono tante. Non va tutto bene: l’inflazione cresce e i costi dell’energia sono anche triplicati per aziende, famiglie e piccole imprese, dai ristoranti agli artigiani. Il tema dello scostamento di bilancio è il convitato di pietra della riunione. Draghi e Franco lo vorrebbero evitare: finora, a partire dal luglio 2021, sono stati destinati più di 10 miliardi, nell’ultimo consiglio dei ministri del 21 gennaio, è stato aggiunto un altro miliardo e 600 milioni. Ma non bastano. Il Mef, già intervenuto su Iva e oneri di sistema delle varie bollette, sta studiando come intervenire. Mercoledì ci sarà un altro Consiglio dei ministri e sono attese ulteriori misure.

Intanto c’è da “correre” sul Pnrr. Il premier ha spiegato che l’erogazione della seconda rata, in scadenza al 30 giugno 2022, “presuppone il conseguimento di 45 traguardi e obiettivi per un contributo finanziario e di prestiti pari a 24,1 miliardi di euro”. Così domani, nella prossima riunione di governo, è stato chiesto a tutti i ministri di “indicare lo stato di attuazione degli investimenti e delle riforme di competenza, segnalando l’eventuale necessità di interventi normativi e correttivi connessi alla realizzazione dei suddetti obiettivi e traguardi”. Il Consiglio dei ministri di domani, quindi, sarà dedicato ad una “puntuale ricognizione” della situazione relativa ai principali obiettivi Pnrr del primo semestre dell’anno. Alcuni ministeri sono indietro. A cominciare da quelli che gestiscono la maggior parte delle risorse: Transizione ecologica, digitale e Infrastrutture. Draghi ha anche ricapitolato le prossime scadenze. Ne ha indicate tre: entro il 30 giugno 2022 devono essere raggiunti 54 tra milestone e obiettivi per un totale di 24,1 miliardi (seconda rata); entro il 31 dicembre 2022 devono essere raggiunti altri 55 obiettivi per avere accesso alla terza rata (21,8 miliardi). Entro il 30 giugno 2023 devono essere raggiunti altri 27 obiettivi che liberano la terza rata (18,4 miliardi).

Rispettare le tre scadenze vuol dire completare altrettanti 136 tra milestone e target e consentire all’Italia di avere 64,3 miliardi di finanziamento. Queste tre rate si aggiungono alla prima da 24,1 miliardi. Anche l’esposizione tecnica dell’agenda contiene utili messaggi politici: Draghi intende andare avanti fino a giugno 2023. Concludere cioè la legislatura. Certo, molto dipenderà da quanto i partiti di maggioranza accetteranno di collaborare, anche criticando, sollevando questioni e indicando soluzioni. E quanto invece concederanno alla propaganda e alla campagna elettorale. Da quanto, come ha avvisato Giorgetti (ieri presente), chi sta fuori aiuterà chi sta dentro a prendere le decisioni migliori senza cambiare continuamente linea. Ogni riferimento a Salvini di lotta e di governo di questo ultimo anno non è casuale. Ieri erano attese anche decisioni importanti per semplificare la vita di famiglie e studenti alle prese con una matassa di regole sulla scuola di ormai difficile applicazione. Sono state rinviate al cdm di domani. Per evitare pasticci.

Dopo il Cdm Draghi si è riunito con i ministri Speranza (Salute) e Bianchi (Scuola) proprio per definire gli interventi sulla scuola. Si sa che sono state accolte molte richieste avanzate dai presidenti di Regione: uniformare i criteri per la Dad; semplificare l’uscita dalla quarantena; abolizione del sistema delle fasce a colori. “Peccato il rinvio” ha voluto puntualizzare la senatrice di Forza Italia Licia Ronzulli quasi rivendicando a se il ruolo della controller dell’azione di governo (dai tre ministri azzurri presenti non è arrivato neppure un commento). E’ questo il punto: fino a che punto i partiti di destra e di centro in maggioranza sapranno ignorare le bordate che ogni giorno Fratelli d’Italia non mancherà di affondare sul governo? Fino a che punto sapranno farlo i 5 Stelle, ormai allo scontro finale tra Conte e Di Maio? E anche il Pd, dove non è un mistero che due ministri su tre hanno lavorato intensamente per bloccare la strada del Colle a Draghi?

L’implosione dei partiti e delle coalizione, il caos politico e il fallimento di alcune leadership, è l’ostacolo più grande sul cammino del governo. Il messaggio che Draghi sembra voler dare è che lui non arretrerà e non accetterà ultimatum. Mai più ci saranno “accordi al ribasso” come sul bonus del 110%. Chi vorrà rompere, avrà nome e cognome. E se ne assumerà la responsabilità. Di fronte agli italiani e agli elettori che poi andranno a votare.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.