Il rimbalzo dell'economia
Intervista a Carlo Cottarelli: “L’Italia cresce, ma attenti all’inflazione”

L’economia globale continua a riprendersi, insieme al commercio, all’occupazione e ai redditi. Ma il rilancio è sbilanciato, con Paesi, imprese e persone che affrontano realtà economiche molto diverse. Questo il messaggio principale del nuovo economic outlook – “cautamente ottimistico” – dell’Ocse, presentato ai primi di dicembre a Parigi dalla capo economista Laurence Boone. In questo contesto si registra una crescita importante dell’Italia. Ne abbiamo parlato con Carlo Cottarelli, già direttore del Fondo monetario internazionale e commissario per la revisione della spesa del Governo Letta (nonché incaricato dal presidente Mattarella per la formazione di un nuovo governo nel maggio del 2018, prima della formazione del governo Lega-M5s). Dal 2017 Cottarelli presiede l’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica.
All’inizio di dicembre l’Ocse ha limato al 5,6 per cento le stime di sviluppo dell’economia globale, ma ha corretto al rialzo quelle del nostro Paese: +6,3 per cento quest’anno e +4,6 nel 2022. Anche l’Istat la settimana scorsa ha rilasciato stime positive sulla crescita italiana: +6,3 quest’anno e +4,7 il prossimo.
Dopo i lockdown siamo in una fase di rimbalzo dell’economia. Ma finché non torniamo ai livelli del Pil del 2019 è impossibile dire se continueremo a crescere a un ritmo elevato. Ricordiamoci inoltre che la nostra economia era caduta molto più della media degli altri paesi europei.
Quali sono i fattori che spingono la nostra crescita?
Certamente i finanziamenti della Banca centrale europea. Prima c’era il vincolo di finanziamento per lo Stato. Poi questo vincolo è saltato. La Bce ha finanziato il nostro paese per una cifra superiore al deficit pubblico del 2020 e del 2021. Viceversa, non si può ancora considerare la crescita come un effetto delle riforme in corso nel nostro paese. Semmai può valere un effetto di aumento della fiducia rispetto al recente passato. Ma la spinta più importante resta quella proveniente dai 350 miliardi di euro di politiche molto espansive di cui il nostro paese sta beneficiando.
Secondo l’Istat nel 2021 si prevede una crescita delle unità di lavoro (+6,1 per cento) che proseguirà anche nel 2022 (+4,1) in linea con l’evoluzione del Pil. Il tasso di disoccupazione aumenterà nel corso dell’anno (9,6 per cento) per poi ridursi nel 2022 (9,3). Come possiamo valutare queste stime?
È normale che la produzione recuperi prima dell’occupazione. Noi siamo ancora a 200mila unità sotto i livelli di partenza. Il grosso è stato recuperato ma il recupero sarà lento. Ma rimane una incognita…
Quale?
Gli effetti di una possibile nuova chiusura delle attività per una recrudescenza della pandemia. In quel caso ci sarebbe poco da dire. Nelle prossime settimane bisognerà vedere quanto è pericolosa questa nuova variante Omicron.
Un altro tema rilevante che emerge dal report dell’Istat è il livello di istruzione degli occupati. Gli occupati italiani evidenziano una composizione per titolo di studio significativamente differente da quella dei principali paesi europei. Nel secondo trimestre del 2021, la quota di occupati in Italia tra i 25 e i 64 anni con titolo di istruzione terziaria (pari al 24,6 per cento), è stata decisamente inferiore a quella di Spagna (46,5), Francia (46,2) e Germania (32,1), sebbene in crescita rispetto alla media del 2019 (23,4). Dati che fanno riflettere.
Sono dati già noti da tempo, purtroppo. Abbiamo il numero di laureati più basso in Europa, secondi solo alla Romania. Ed è un problema che si scarica sull’amministrazione pubblica italiana.
Il grande spauracchio di questi mesi, specie nella stampa internazionale, è l’inflazione in crescita: perché aumentano i prezzi? E per quanto durerà? L’America e la Germania sono molto preoccupate. Molto meno, almeno sembra, l’Italia. Perché?
Per adesso l’inflazione in Italia è più bassa. Anche se, nel mese di novembre, è stata tra le più alte d’Europa con una crescita dello 0,7 per cento. Potrebbe esserci a breve una fase di recupero. Negli Stati Uniti e in Germania sono già nella fase del second round effect, ovvero in quella fase in cui l’aumento dei prezzi dell’energia si scarica già su altre tariffe. In Italia il fattore determinante dell’inflazione, per adesso, è ancora quello legato ai costi energetici.
Quali conseguenze può avere l’inflazione?
Se si tratta di fattori temporanei l’inflazione rallenterà da sé. Bisogna tener presente che tante cose non fatte nel 2020 a causa della pandemia si scaricano ora sul 2021. Superata questa fase potrebbe tornare la normalità.
E se non si tratta di fattori temporanei?
Se il problema è che i tassi di interesse sono troppo bassi o che si è immessa nel mercato troppa moneta allora bisognerà aumentare i tassi di interesse e ridurre la stampa di nuova moneta. Il presidente della Fed Jerome Powell ha fatto capire, di recente, che bisognerà mettere uno stop alle politiche espansive. La Banca centrale europea, viceversa, crede in questo momento ai fattori temporanei, pertanto non sembra interessata ad aumentare i tassi di interesse. Ma fra due mesi bisognerà valutare attentamente: se l’inflazione continuerà a crescere bisognerà dare una stretta alla politica economica.
Nel frattempo in Italia si parla della riforma fiscale. Qual è la sua valutazione in merito? Come possiamo giudicare le prime mosse del governo? I sindacati sono già sul piede di guerra…
La riforma fiscale per adesso è molto vaga. Se i paletti sono molto ampi si dà una grande discrezionalità al governo ed è difficile esprimere un giudizio. Per adesso stiamo assistendo ad un anticipo del taglio delle tasse. I sindacati protestano perché le riduzioni di imposta concordate nella maggioranza vanno soprattutto ai redditi medi e non ai dipendenti e ai redditi bassi. Però bisogna ricordare che già 10 milioni di italiani non pagano le tasse perché hanno redditi bassi. Gli 80 euro di Renzi – che poi sono diventati 100 – sono già stati un beneficio nei confronti dei contribuenti che si trovano nella fascia sotto ai 27 mila euro. Pertanto si parla di benefici fiscali per chi ha un reddito non superiore ai 50-55 milioni di euro.
Il contributo di solidarietà per coprire l’aumento delle bollette è saltato la settimana scorsa. Per le forze che lo hanno respinto era un sorta di patrimoniale. Lei che ne pensa?
Penso che un “una tantum” – ovvero non dare un beneficio di riduzione delle tasse per chi ha un reddito di oltre 100mila euro – ci può anche stare. Bisogna ricordare però che già oggi l’1 per cento dei più ricchi paga il 20 per cento delle tasse (e riceve il 10 per cento del reddito totale). La redistribuzione già c’è. Inoltre, se è vero che l’una tantum non è un sacrificio eccessivo, bisogna però sussidiare chi ha veramente bisogno. Se i contributi sono distribuiti a pioggia – come è avvenuto finora – questa misura non avrebbe senso.
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