Perchè la minaccia contro il governo è un'arma spuntata
Landini minaccia il governo, ma lo sciopero è solo un bluff

Insoddisfatti e delusi dal livello del confronto con il governo, critici sulla manovra economica, scontenti della miniriforma fiscale, contrari alle misure pensionistiche, i leader sindacali tornano a parlare insistentemente di lotta e mobilitazione, fino ad arrivare ad invocare “l’arma fine del mondo”: lo sciopero generale. A evocarlo è stato in una recente intervista Maurizio Landini che da tempo minaccia azioni muscolari nei confronti di un esecutivo guardato con sospetto, se non con ostilità, colpevole di aver interrotto l’esperienza del governo Conte, decisamente più in sintonia con la Cgil della quale si serviva per l’elaborazione di molte delle sue politiche sul lavoro. Anche se più cauti, Pierpaolo Bombardieri, leader della Uil, e Luigi Sbarra, Segretario generale della Cisl, dopo aver per lungo tempo frenato le spinte della consorella maggiore, negli ultimi giorni hanno alzato i toni, lamentando la mancanza di una vera politica concertativa con le parti sociali.
Cgil, Cisl e Uil, almeno a parole, hanno dissotterrato l’ascia di guerra, ma c’è da augurarsi che governo e Paese non si preoccupino più di tanto e si concentrino sulle sfide che il mondo della produzione e del lavoro è chiamato ad affrontare, perché l’arma dello sciopero generale, ad oggi, è davvero una lancia spuntata. Lo è per i tempi che richiede la sua preparazione. Per avere una possibilità di successo ed efficacia comunicativa e politica, uno sciopero generale, come una sua articolazione, non potrebbe che essere convocato prima della metà del prossimo mese e quindi a legge di bilancio già approvata, nel bel mezzo dello scontro tra le forze politiche sul Quirinale e senza la certezza di un governo e di un presidente del Consiglio nel pieno delle loro funzioni. Deboli anche le motivazioni sulle quali sarebbe proclamato. Formalmente Cgil, Cisl e Uil chiederebbero ai lavoratori di scioperare per contrastare le proposte di modifica fiscale e pensionistica messe in atto dal governo e per criticare una politica di bilancio da loro stessi valutata in modo contraddittorio, con luci e ombre, a cui si aggiungerebbero le più disparate istanze settoriali, oltre alle richieste di soluzione per le diverse crisi aziendali in corso –Whirpool, Gkn, Ilva e con esse molte altre-. Una macedonia di rivendicazioni confusa e difficile da spiegare ai lavoratori.
C’è in realtà il forte sospetto che il vero motivo della chiamata sindacale alle armi sia la presunta mancanza di ascolto da parte del governo. Draghi, ovviamente, non può prescindere dalla maggioranza politica che lo sostiene. Deve quindi in primo luogo mediare con i partiti le scelte economiche e politiche e solo in seguito cercare con i sindacati, all’interno di una cornice predefinita, i possibili aggiustamenti. Cgil, Cisl e Uil chiedono un potere di veto e un’impossibile pari dignità con le forze politiche. Impossibile perché seppure importanti ed essenziali, i sindacati, per la nostra Costituzione, non hanno voce in capitolo nella formazione delle leggi e nella gestione della cosa pubblica. Sono associazioni private, prive di una misurazione democratica del loro peso specifico. Per quanto grandi e per quanto dicano di tutelare interessi generali, rappresentano inevitabilmente solo una parte del mondo del lavoro e della produzione.
In un Paese che si sta molto lentamente riprendendo da due anni di pandemia e di chiusure forzate delle attività produttive, che ha di fronte una possibile nuova ondata di contagi, una pericolosa fiammata inflazionistica, una catena degli approvvigionamenti interrotta in più punti, un riassetto dagli esiti non scontati della divisione internazionale del lavoro con le inevitabili ricadute produttive e occupazionali, una riconversione ecologica che se non pienamente supportata produrrà effetti devastanti sul futuro del lavoro, sindacati che vogliano definirsi generali e confederali dovrebbero rivolgere le proprie azioni di lotta all’ammodernamento del Paese, alle riforme del mercato del lavoro, della normativa giuslavoristica, del lavoro pubblico, della contrattazione, dei servizi sociali.
Per non parlare dei fondi del Next Generation EU. Un sindacato riformista avrebbe chiesto a controparti e governo di cominciare da questi temi e su questi, se necessario, imbastire una forte e decisa mobilitazione. Chiedere oggi ai lavoratori italiani di scioperare per dare ai vertici dei tre sindacati un potere di indirizzo e di veto sulle scelte del governo e della politica è degno di antichi Visir.
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