Il 9 settembre sarà un giorno cruciale per l’economia europea. Dopo il potente stimolo dato alle economie nazionali per proteggere i mercati finanziari dalla crisi, la Banca Centrale Europea si prepara a chiudere il cosiddetto Pepp (Pandemic Emergency Purchase Programme) ovvero il suo programma di acquisto di emergenza pandemico, pari a 1,85 miliardi di euro di obbligazioni. Un compito delicato che Christine Lagarde, presidente della Bce, dovrà portare a termine senza scatenare il panico nel mercato obbligazionario e tra i paesi mutuatari dell’Europa meridionale. Tra i quali c’è, prima di tutti, l’Italia.

L’inflazione che continua a salire a causa della carenza di beni e della domanda in ripresa diventerà presto una spina nel fianco della Banca centrale. Proprio il rischio di una inflazione dilagante alimenta le tensioni tra i falchi conservatori nel consiglio direttivo della Bce e le più numerose “colombe”, che vogliono mantenere uno stimolo consistente a sostegno della ripresa. Ora che il prodotto interno lordo della zona euro è cresciuto del 2% nel secondo trimestre, superando Cina e Stati Uniti per la prima volta da quando è scoppiata la pandemia, i falchi – come Jens Weidmann della Germania, Klaas Knot dei Paesi Bassi e Robert Holzmann dell’Austria – ritornano a volare. Ad agosto l’inflazione è salita al 3%, un livello che non raggiungeva da dieci anni e che sta ben al di sopra dell’obiettivo del 2% della Bce. E i falchi temono che l’inflazione possa continuare a crescere, alimentata dai colli di bottiglia della catena di approvvigionamento, dalla domanda in ripresa e dalle famiglie che spendono i risparmi in eccesso accumulati durante la pandemia. «Se questi fattori transitori portano ad aspettative di inflazione più elevate e a un’accelerazione della crescita dei salari, il tasso di inflazione potrebbe aumentare sensibilmente nel lungo termine», ha avvertito la settimana scorsa il presidente della Bundesbank Weidmann.

Proprio mentre altre grandi banche centrali, come la Federal Reserve statunitense e la Bank of England, si stanno preparando a ridurre a zero i loro acquisti di asset, c’è un’altra grande domanda che incombe sulla Bce: quanto stimolo si potrà ancora pompare nell’economia acquistando obbligazioni quando il Pepp terminerà il prossimo anno? Finora, i governi sono stati in grado di aumentare notevolmente i loro livelli di debito senza preoccuparsi troppo dei costi. Ma che succede se la potenza di fuoco della Bce per acquistare più obbligazioni è limitata? L’ipotesi che la Bce possa condurre tramite il Pepp minori acquisti settimanali desta preoccupazioni. I prezzi dei Btp si sono giovati di questo programma non soltanto per via degli ingenti acquisti realizzati (208,8 miliardi di euro al 31 luglio scorso), ma anche per la flessibilità con cui essi possono avvenire. Il fatto che il Pepp consenta alla Bce di trasgredire i limiti a cui sarebbe altrimenti sottoposta allenta le tensioni a carico dei bond italiani. Francoforte è creditrice oggi di quasi un quarto del nostro debito pubblico: qualcosa come 650 miliardi a fine agosto. Ecco perché la fine del Pepp per il governo italiano può provocare un contraccolpo non indifferente.

Journalist, author of #Riformisti, politics, food&wine, agri-food, GnamGlam, libertaegualeIT, Juventus. Lunatic but resilient