In un salone del “Palazzo con le palme” di via Nazionale, attrezzato secondo le regole del “distanziamento sociale”, davanti a poche decine di invitati rigorosamente selezionati e seminascosti dalle mascherine d’ordinanza (tra tanto bianco spiccava il rosso della presidente del Senato), Ignazio Visco ha letto delle Considerazioni finali destinate – se l’Italia riuscirà a sopravvivere – a trovare posto in una pagina di storia. Da troppo tempo gli italiani – almeno quelli che non hanno ancora portato il cervello all’ammasso – attendevano che si proponesse loro una “visione”. Il Governatore l’ha offerta in 37 pagine tenute insieme col filo rosso di un ragionamento organico, sorretto da una sintassi politica ed economica coerente dalla prima all’ultima parola.

La situazione è grave – le affermazioni e i numeri di Visco piovono come pietre sull’uditorio presente e su quello collegato in streaming – ma potrebbe persino peggiorare in seguito a eventi non riconducibili all’economia, ma imprevedibili e determinati dall’evoluzione dell’emergenza sanitaria e dagli ulteriori provvedimenti che si rendessero eventualmente necessari, non solo nel nostro Paese, ma a livello europeo e globale. Per ora dobbiamo ammettere che “sappiamo di non sapere” quale futuro prossimo ci attende. E questo principio morale socratico non è un metodo per accostarsi alla realtà senza pregiudizi, ma la consapevolezza di camminare sul terreno dell’ignoto.

Visco ha puntualizzato, quasi in modo notarile, le misure adottate dal Governo per fronteggiare la crisi sanitaria e le sue ricadute sull’economia («Il governo italiano si è mosso secondo le medesime priorità che hanno guidato gli interventi a livello internazionale, concentrandosi sulla capacità di risposta del settore sanitario e sugli aiuti ai lavoratori, alle famiglie, alle imprese. Tra marzo e maggio, sono state varate misure che accrescono il disavanzo pubblico di quest’anno di circa 75 miliardi, il 4,5 per cento del prodotto»). Il Governatore non ha esitato a indicarne i limiti soprattutto per quanto riguarda i prestiti garantiti dallo Stato; ma ha fatto notare che gli istituti di credito hanno delle responsabilità non aggirabili – con la consueta faciloneria – nell’erogare il risparmio delle famiglie detenuto in portafoglio. Si è soffermato a commentare gli interventi tempestivi della Bce e delle istituzioni europee, sottolineando l’essenzialità di un comune e ineluttabile destino dell’Unione in un contesto internazionale in cui l’economia rischia di rinchiudersi in una letale quarantena protezionistica.

A tal proposito, Visco ha sollecitato l’Europa ad assumere quella leadership del mondo occidentale a cui gli Usa di Trump hanno rinunciato. Varrebbe qui la pena di ricordare che Obama, prima di terminare il mandato, volle incontrare Angela Merkel come se intendesse passarle il testimone. Ma il contributo più importante e innovativo del Governatore – rispetto al taglio sfascista del dibattito politico e mediatico – riguarda i punti di forza di cui il nostro Paese dispone per affrontare le sfide. Visco non si limita a illustrarli – corredati di cifre e argomenti – nel corso del suo intervento, ma li riassume quando si è avviato a concludere: «Grazie al recupero di competitività delle nostre esportazioni e ai forti avanzi commerciali registrati dal 2012 la posizione netta sull’estero dell’Italia ha raggiunto un sostanziale equilibrio. Le condizioni finanziarie delle banche e delle imprese sono migliori oggi che nel 2007.

La ricchezza netta, reale e finanziaria, delle famiglie italiane è elevata: 8,1 volte il reddito disponibile contro 7,3 nella media dell’area dell’euro. Il debito delle famiglie – ha proseguito il Governatore – è basso nel confronto internazionale ed è concentrato presso i nuclei con una maggiore capacità di sopportarne gli oneri; a fine 2019 ammontava a poco meno del 62 per cento del loro reddito disponibile, contro il 95 nella media dell’area dell’euro (con una punta di oltre il 200 per cento nei Paesi Bassi), il 96 negli Stati Uniti e il 124 nel Regno Unito. Alla fine del 2019 il debito delle imprese era pari al 68 per cento del Pil, contro il 108 dell’area dell’euro e valori superiori al 150 per cento in Francia e nei Paesi Bassi. Nel complesso del settore privato, il debito era pari al 110 per cento del Pil, oltre 50 punti in meno del valore medio dell’area dell’euro».

E se «la pandemia e la recessione aprono scenari di estrema incertezza che rendono molto difficile tratteggiare i contorni dei nuovi equilibri che si andranno a definire “esiste” una ragione in più per rafforzare da subito la nostra economia, per muoversi lungo quel disegno organico di riforme già per molti aspetti tracciato. I frutti di questa azione non potranno che vedersi col tempo, ma un progetto compiuto rende più chiara la prospettiva», influisce sulla fiducia e incoraggia a intraprendere. Già, le riforme. È diventata una parola malata. I sovranisti, annientati dalla mole di risorse messe in campo dalla Ue, si sono rifugiati nello spauracchio delle condizioni. «Chissà che cosa ci chiederanno in cambio? Vorranno che facciamo ciò che loro ci ordinano. No pasarán!». Così le riforme sono divenute una minaccia, come se noi non ne avessimo bisogno. La giustizia civile (e penale) da noi è un modello; il sistema fiscale funziona come un orologio; la sanità è uscita dalla tempesta illesa; della green economy non ci importa un fico secco; le pensioni non si toccano. Per dimostrare quanto siano sprovveduti gli anticondizionalisti affrontiamo soltanto quest’ultimo tema tanto delicato.

Le deroghe introdotte dal governo giallo-verde scadono una (quota 100) alla fine del 2021; l’altra (il trattamento anticipato con i requisiti bloccati) al 31 dicembre del 2026. Se non si definisce un quadro normativo nuovo si tornerà automaticamente alle regole della riforma Fornero. Inoltre, per ricostruire un mercato che non si riduca al giardino di casa, occorrerà individuare degli obiettivi di sviluppo verso i quali orientare gli investimenti. Facciamo un solo esempio: la nostra struttura manifatturiera è in simbiosi con quella tedesca; sarà allora il caso di incamminarsi lungo i medesimi percorsi. Eppure, i sovranisti trovano sempre qualcuno che insegna loro a non dire soltanto degli slogan da bar. «Noi riceveremo 173 miliardi? Non è così», hanno pontificato: «Togliendo i 56 miliardi che l’Italia versa alla Ue fanno 26 miliardi in tre anni». Appare chiaro che il minuendo della sottrazione, in questo conteggio farlocco, è dato dagli 82 miliardi a fondo perduto (perché sono quelli che interessano ai furbetti del nostro quartierino). Ma stiamo pure a questo gioco disonesto. In quale sistema finanziario un investimento di 56 miliardi garantisce, in un triennio, un rendimento di 26 miliardi?

Mi è capitato in questi giorni di imbattermi in una conversazione che merita di essere riprodotta perché, con personaggi diversi, sembra avvenuta l’altro ieri. Si tratta del resoconto di un colloquio tra Stalin e il segretario del Pcf Maurice Thorez avvenuto nel novembre del 1947 a proposito del piano Marshall: «I comunisti sono a favore di prestiti – diceva il Piccolo Padre – purché non tocchino la sovranità del Paese e sono contrari a condizioni soggioganti che danneggino l’indipendenza francese. Ecco come i comunisti – concludeva Stalin – devono presentare il problema».  Tornando a Ignazio Visco le sue Considerazioni si sono concluse con la parola ‘’speranza’’. La stessa parola con cui il barbiere scambiato per Hitler, nel film Il grande dittatore di Charlie Chaplin, conclude il suo discorso all’umanità. Ma Visco ha sentito l’ultima esternazione televisiva di Piercamillo Davigo?

È riportata tra virgolette sul Foglio del 30 maggio e riguarda il carico di adempimenti amministrativi che rallenta gli appalti e crea problemi alla ripresa dell’economia. «Non è più semplice mandare un ufficiale di polizia giudiziaria sotto copertura – ha proposto Davigo – a partecipare a una gara d’appalto e quando qualcuno la vincerà, dicendo “tu questa gara non la devi vincere” lo arresta così facciamo prima?». Questo è il pensiero di un esponente di primissimo piano della magistratura e del Csm. Dottor Visco, forse è meglio rassegnarsi.