Oggi al Meeting di Rimini si tiene un incontro su “La genialità pedagogica di don Giussani”. Il titolo riprende un’espressione di Papa Francesco nel discorso all’udienza concessa al Movimento di Comunione e Liberazione il 15 ottobre 2022. Ne parliamo con Carmine Di Martino, Professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Milano, tra i relatori dell’incontro e curatore di tre volumi dedicati al pensiero teologico, filosofico e pedagogico-sociale di Giussani, in occasione del centenario della nascita.

Professore, qual è la caratteristica della proposta pedagogica di don Giussani, che porta il Papa ad usare l’espressione che dà il titolo all’incontro?

«Se parliamo di educazione alla fede, anzitutto il suo punto di partenza, cioè la vivida intuizione del Fatto cristiano come realtà presente qui e ora, che cambia la vita dell’uomo. Alla radice della pedagogia giussaniana alla fede vi è la concezione del cristianesimo come avvenimento. Un avvenimento accaduto duemila anni fa – Dio si è fatto carne nel ventre di una ragazza di nome Maria –, che permane nella storia proprio come avvenimento che accade e ci sorprende oggi, là dove viviamo, e ha il volto della compagnia che da Cristo è nata ed è arrivata sino a noi: la Chiesa, Suo corpo, modalità della sua presenza oggi, fatta di persone in carne e ossa, guidata dal Vescovo di Roma. Si incontra pertanto il Fatto cristiano imbattendosi in persone che quell’incontro hanno già compiuto e la cui vita da esso, in qualche modo, è già stata “perturbata”, resa più umana, offrendosi carica di attrattiva e di promessa a chi ne viene in contatto. È questa riproposizione chiara e decisa del nucleo essenziale del cristianesimo che diventa in Giussani metodo di evocazione e di educaazione alla fede, genialità e arte dei passi».

Potrebbe farci capire meglio il nesso fra le due cose?

«Se si rimane fedeli ai connotati originali dell’annuncio, il cammino degli apostoli con Gesù (l’incontro con lui, lo stupore per la sua presenza, il seguirlo, il sentirlo parlare, l’assistere ai miracoli, il crescere nella certezza in lui, la loro domanda su chi egli veramente sia, nonostante sapessero tutto quello che si poteva sapere di lui, la domanda che egli rivolge loro: «E voi chi dite che io sia?»…) non è solo un’esperienza del passato, ma un’esperienza possibile nel presente. A partire dall’incontro con il volto che Cristo assume ora nella Chiesa, nella comunità cristiana, nella carne di testimoni credibili. Se i dati originali dell’annuncio non sono rispettati, invece, tutto diventa metaforico o interioristico: l’incontro, lo stupore, il seguire… e la pedagogia alla fede non può adeguatamente svilupparsi, facilmente riducendosi, per esempio, in senso dottrinaristico o moralistico, oppure ai modelli socio-pedagogici e psicologici in voga».

Perché la sua proposta ha avuto una così forte presa sui giovani?

«Perché è la proposta di una fede ragionevole, che c’entra con la vita e la rende più vita. Non basta dire: «Dio si è incarnato» o «Dio si è fatto uomo». Occorre comunicare e far percepire l’esistenzialità dell’annuncio, vale a dire che ciò che si è fatto uomo, presenza nella storia, è il significato, la bellezza, il compimento della vita. E questo è possibile in quanto l’avvenimento, l’incontro che muove alla adesione di fede si rivela corrispondente come nient’altro alle esigenze ed evidenze originali dell’uomo e al tempo stesso si dimostra capace di gettare una luce chiarificatrice sulle circostanze, le situazioni, i problemi di cui è fatta l’esistenza personale e sociale. Ma questa non è solo una affermazione, è una esperienza da fare, una verifica da compiere. Un termine chiave della pedagogia giussaniana è «verifica»: occorre impegnarsi, diceva Giussani, a verificare esistenzialmente la verità dell’annuncio cristiano, attraverso il tentativo di affrontare i problemi e le urgenze dell’esistenza alla luce dell’avvenimento di Cristo, per sorprenderne la pertinenza, la capacità di risposta. La parola «verifica» non rientrava nel lessico pedagogico tradizionale cattolico e nemmeno non cattolico: Giussani la introduce come l’unica strada di una adesione personale ragionevolmente fondata alla proposta cristiana come a ogni altra proposta. Il suo pensiero pedagogico è dedicato infatti anche alla dinamica educativa in generale».

Può accennare gli aspetti salienti?

«Giussani ha una radicale consapevolezza della decisività dell’educazione. Essa è la chiave dell’umanizzazione della vita, il problema capitale per il presente e l’avvenire di una società, il cardine di una civiltà. Educare, nel senso generale, significa per lui «introdurre» un individuo «alla realtà totale», ossia promuovere tanto lo sviluppo integrale di tutte le sue strutture quanto l’affermazione di tutte le possibilità di connessione attiva di quelle strutture con la realtà. In vista di ciò occorre anzitutto la comunicazione di un’ipotesi esplicativa della realtà, senza cui il bambino e poi il giovane non possono entrare in rapporto con essa. In secondo luogo è necessario l’incontro con qualcuno in cui quell’ipotesi venga persuasivamente mostrata nelle sue ragioni, nella sua capacità di corrispondere ai desideri e alle evidenze umane costitutive e di rendere affrontabile la problematica cui la vita espone. È la figura dell’«autorità», della «presenza autorevole»: solo seguendola si sviluppa la propria originale fisionomia. Bisogna però, terzo fattore, che l’ipotesi sia verificata dal giovane, affinché possa essere criticamente personalizzata oppure abbandonata. Si annuncia nella sua drammaticità il quarto fattore: il “rischio educativo”, che mette alla prova l’educatore, poiché la verifica implica il rispetto della libertà di chi la compie. Ma, se si vuole educare, occorre amare la libertà dell’altro fin nel rischio».