Lunedì 20 gennaio si insedia Donald Trump e si parte già con molte incognite, soprattutto di tipo economico. Secondo alcune indiscrezioni che rimbalzano da oltreoceano, il nuovo presidente degli Stati Uniti sarebbe pronto a firmare almeno 200 ordini esecutivi, normative immediatamente applicabili nel diritto statunitense, per rivoluzionare Washington. Tra questi, ci sarebbero i tanti temuti dazi sia nei confronti dell’Unione europea che nei confronti della Cina.

La guerra commerciale e la tattica di The Donald

All’annuncio di questi provvedimenti la scorsa settimana, Wall Street è andata a picco: il timore di una ampia guerra commerciale che ostacoli la circolazione delle merci e deprima l’economia, è vissuta con profondo terrore da parte degli operatori.
Bisogna capire, allora, se si tratta della tattica oramai collaudata da “The Donald” di mostrare i muscoli per poi aprire un tavolo di trattative con le controparti che vogliono evitare un conflitto oppure se questa volta il nuovo inquilino della Casa Bianca andrà avanti come un treno.
In questo secondo caso, i timori sono molti soprattutto nel vecchio Continente. L’Europa è il principale partner commerciale degli Usa e tra gli europei, Italia e Germania sono i maggiori esportatori al di là dell’Atlantico.

I rapporti bilaterali e il legame con Meloni

Nella definizione delle merci sotto dazi, conteranno molto i rapporti bilaterali. Da questo punto di vista, un peso importante potrà averlo il legame diretto stabilito tra il presidente del Consiglio italiano, Giorgia Meloni, con Trump e il suo consigliere più importante, Elon Musk. Washington, infatti, potrebbe decidere di “esentare” le merci italiane da eventuali dazi o magari colpirle solo simbolicamente, mentre potrebbe essere più duro con l’export tedesco e francese.

Il rischio di una nuova fiammata inflazionistica

In ogni caso l’inizio di una lotta commerciale sarebbe da scongiurare per tutti: sia per l’Europa che per gli Stati Uniti e la Cina. La conseguenza immediata, oltre all’aumento delle tensioni geo politiche, sarebbe una nuova fiammata inflazionistica che potrebbe colpire con maggiore forza il vecchio Continente. L’Unione europea, infatti, è importatore netto di materie prime (petrolio, gas, materie prime per i conduttori elettrici e così via) e l’imposizione di tasse creerebbe un aumento dei prezzi che inciderebbe sulla fragile ripresa economica che nel 2025 stenterà ad avvicinarsi allo 0,8 per cento.

In tutto ciò, Trump si troverà ad affrontare il paradosso dell’economia americana. Nonostante l’inflazione tendenzialmente alta, i tassi di interesse più alti che in Europa, il lavoro e il prodotto interno lordo degli Stati Uniti cresce a spron battuto. Prova evidente che il sistema Usa va a gonfie vele sebbene gli stimoli finanziari tendano a “raffreddare” l’espansione. Con questi dati macroeconomici, sembra piuttosto velleitaria la seconda strategia che potrebbe adottare la nuova amministrazione per favorire l’export: cioè un dollaro più debole. Ricordiamo che la Fed ha annunciano una politica di tassi “prudente” per l’anno in corso con solo due tagli, mentre Trump vorrebbe un intervento più pronunciato. Ci sarà uno scontro istituzionale che magari vedrà soccombere il numero uno della Fed, Jerome Powell?
In ogni caso, sarà un anno ricco di “imprevisti”.

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