Cercare di comprendere le strategie del presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, è uno sforzo che non sempre consente di avere i risultati sperati. La questione è semplice. L’economia europea è in stallo, l’inflazione è sotto controllo, eppure la Bce giovedì scorso ha deciso un taglio dei tassi di interesse dello 0,25%. Secondo molti analisti, sarebbe stato necessario un intervento più coraggioso (almeno 0,5%) per dare un segnale chiaro agli operatori economici europei: la Banca centrale sostiene lo sforzo dell’Europa di uscire dal pantano e guidare la crescita. Così non è stato e, ancora una volta, è stata scelta una strategia prudente applaudita dai “falchi” del direttivo dell’Eurotower.

La situazione

Eppure i numeri macroeconomici del Vecchio Continente sono sotto gli occhi di tutti, anche della vigile Lagarde. Anzi, è lei stessa a confermare: “L’economia dovrebbe rafforzarsi nel tempo. Sebbene più lentamente di quanto previsto in precedenza. È fondamentale dare rapidamente seguito, con politiche strutturali concrete e ambiziose, alle proposte di Mario Draghi per migliorare la competitività europea”.

La crescita nel 2024, secondo quanto emerge dall’analisi della Bce, sarà dello 0,7% nei paesi dell’Eurozona rispetto all’1% indicato. Il prossimo anno il Prodotto interno lordo europeo salirà dell’1,1%, mentre le previsioni indicavano un più 1,3. Stessa storia nel 2026: il PIL avrà un incremento dell’1,4%, un punto in meno di quanto previsto a metà 2024. Se a ciò si aggiungono i numeri della produzione industriale, in calo oramai da più di un anno in tutta Europa – con la Germania che macina record negativi uno dietro l’altro – si capisce che ancora una volta da Francoforte sono arrivati indicazioni tiepide.

C’era una volta Draghi

Sono lontani i tempi in cui a dettare la linea economica globale era Mario Draghi. L’ex presidente del Consiglio italiano, ai tempi della sua guida alla Bce, aveva fatto in modo che l’istituzione europea fosse un “market mover”, cioè una guida sui mercati per dare luce alle prospettive e aiutare gli operatori a capire dove soffiava il vento dell’economia. A oggi, invece, Lagarde e il suo staff si ostinano a indicare che “il processo disinflazionistico è ben avviato ma la Bce continuerà con un approccio guidato dai dati”.

In parole povere: non ha deciso che strategia attuare né ha dato indicazioni su quali saranno le prospettive. Nella nota pubblicata a margine del taglio dei tassi, poi, si legge che “pur allentandosi a seguito delle recenti riduzioni dei tassi di interesse decise dal Consiglio direttivo, che rendono i nuovi prestiti a imprese e famiglie meno onerosi, le condizioni di finanziamento restano stringenti, in quanto la politica monetaria permane restrittiva e i passati rialzi dei tassi di interesse si stanno ancora trasmettendo alle consistenze dei crediti in essere”. Non dimentichiamo che a chiedere un taglio più robusto è stato sia il governatore della Banca di Francia, François Villeroy de Galhau, che il numero uno della Banca d’Italia, Fabio Panetta. Il primo, nelle scorse settimane, ha più volto invocato maggiore coraggio dalle istituzioni europee. Anche perché il debito francese è sottoposto a forti tensioni sui mercati, sia per la mancanza di una stabile guida politica sia perché esso è cresciuto molto negli ultimi anni.

Panetta, invece, ha più volte chiesto la fine della politica monetaria restrittiva. Come spiega Lagarde, “c’è stato un dibattito con qualcuno che ha proposto di considerare un taglio di mezzo punto, ma alla fine c’è stata la decisione unanime che 25 punti base rappresentavano il giusto compromesso”. Detto fuori dai denti: ha prevalso l’indicazione dei paesi frugali. Ricordiamo, inoltre, che la Bce ha annunciato la fine del programma Pepp, cioè quel programma che ha consentito alla Banca centrale di acquistare i titoli di Stato per stabilizzare i loro rendimenti. Non è una sorpresa. Anche se qualcuno sperava in un rinvio, viste le tensioni appunto sul debito francese e la profonda crisi industriale tedesca.

Il quadro macroeconomico del Vecchio Continente è sempre più schiacciato dall’attivismo dei governi degli Usa e della Cina: entrambi hanno varato robusti programmi di industrializzazione e aiuti per le loro imprese. In Europa, invece, si preferisce tenere i conti a posto. A cosa servirà se intanto la deindustrializzazione avanza, l’inverno demografico è sempre più realtà e l’innovazione potrebbe restare un blando ricordo? Bisognerebbe chiederlo al direttivo della Bce.

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