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Le prospettive
Un’Europa più sicura e meno dipendente, la sfida del 2025 tra spese militari e gas
Con Tusk alla presidenza di turno, la Ue affronta sfide decisive come il rafforzamento delle frontiere Bruxelles dovrà poi occuparsi della sicurezza informatica e della gestione delle risorse energetiche
Sicurezza. Da qualunque parte la si guardi, è questa la priorità dell’agenda Ue del 2025. Sicurezza militare, energetica e – più in senso lato – economica. Ne è consapevole il premier polacco, Donald Tusk, che dall’altro ieri detiene la presidenza semestrale di turno di tutta l’Unione. Gli appuntamenti dei prossimi 12 mesi sono tanti.
Si parte con l’avvio del mandato della presidenza Trump. Il giuramento è fissato per il 20 gennaio. Nell’attesa, c’è chi parla di “Europa post-americana”. Un modo gentile per dire che, con un eventuale disimpegno di Washington dalla Nato, Bruxelles dovrebbe avere le idee chiare su come cavarsela da sola. La svolta della guerra in Ucraina è ancora tutta da scrivere. Al netto di qualsiasi accordo, sarà necessario un rafforzamento delle frontiere esterne.
Il recente sabotaggio dei cavi sottomarini nel Baltico conferma che con la Russia è in atto una guerra ibrida. Inoltre apre il dossier della sicurezza informatica. Tema altrettanto urgente, visto il caso di TikTok e dei presunti brogli elettorali in Romania. Sicurezza strategica però vuol dire più spese per l’apparato difensivo. Ursula von der Leyen ha stimato 500 miliardi di euro di investimenti per rafforzare l’industria militare europea, ma trovare i fondi sarà complesso se si considerano le altre priorità come la crisi climatica e la competitività.
Tusk potrebbe essere l’uomo giusto al posto giusto nel momento giusto. Atlantista e liberale, il leader polacco è già stato presidente di turno della Ue nel 2011. Poi ha guidato il Consiglio europeo tra il 2014 e il 2019. Quindi è di casa nei palazzi di Bruxelles. Per posizione politica e approccio personale, è uno che a Trump non le manda a dire. Ma, per come è fatto il tycoon, un falco europeista è quel che ci vuole. Del resto, Varsavia è tra le cancellerie europee più favorevoli ad aumentare le spese militari.
Al momento giunte al 4% del PIL polacco, con l’obiettivo di portarle al 4,7% entro i prossimi 12 mesi. Per convincere gli altri partner Ue che la sicurezza strategica è un tema vitale per il continente, Tusk potrebbe far leva sulla sicurezza energetica. Lo stop dal 31 dicembre alle forniture di gas russo via Ucraina eleva la questione a massima urgenza. Siamo d’accordo con Zelensky sul fatto che si tratti di una delle più grandi sconfitte di Mosca. E ci rincuora sapere, dalle parole del ministro Pichetto Fratin, che le scorte sono adeguate. Tuttavia il “no” a Gazprom comporta più Gnl importato dagli Usa. Ovvero da quell’alleato che – così come vuole imporre dei dazi sui nostri manufatti – altrettanto può stabilire prezzi a noi sfavorevoli su un combustibile che, in generale, ha visto un rialzo annuale del 45% dei suoi prezzi.
E qui arriviamo alla sicurezza economica. L’auspicio è che la seconda parte del 2024, con le tute blu delle case automobilistiche europee in piazza, ci abbia insegnato qualcosa. Nei decenni passati l’Europa ha rinunciato alla sua industria manifatturiera, illusa che non le servisse più e che fosse la sola e unica responsabile del cambiamento climatico. Tra Covid, guerre e protezionismi, ci siamo resi conto del contrario. Il mondo globale non sarà certo pietoso, permettendoci di recuperare senza lacrime e sangue.
Fin da subito, quindi, è necessario definire una politica industriale comune e coesa. Chiamiamola pure Industrial Green Deal perché è più scenografico. In ogni caso, bisogna trovare una soluzione alla mancanza di materie prime critiche, al costo del lavoro (da nessuna parte così caro come in Europa) e agli investimenti green che molte imprese con una forte impronta carbonica hanno fatto e che certo ora non si possono interrompere. È necessario, poi, capire su quali filiere e territori puntare. Perché non tutto è competitivo e non tutto è attrattivo. A questo proposito, sarà utile il sostegno della finanza. Ci si aspetta una Bce più espansiva nella riduzione dei tassi. In risposta al rigore della Fed, ma soprattutto per favorire quegli investimenti mirati a sviluppare settori made in Eu che Cina e Usa ci invidiano.
Per tutto questo, però, non basta Bruxelles. E tanto meno Donald Tusk. Vuoi anche perché la sua presidenza passerà alla guida danese già tra 6 mesi. Per un’Europa più sicura, solida ed espressione storica di pace (Mattarella cit.), servono Stati membri fatti di questa stessa pasta. Primo fra tutti la Germania. Il 2025 è un anno elettorale. Certo, a ottobre Repubblica Ceca e Irlanda rinnoveranno rispettivamente Parlamento e presidente. Ma il vero appuntamento è il 23 febbraio. Dalle elezioni federali tedesche deve emerge una sicurezza politica tale da garantire a tutta la Ue che le decisioni prese quest’anno avranno un valore anche quello prossimo. E magari oltre.
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