Ad Idlib, nella Siria nordoccidentale, ultima roccaforte controllata da milizie ribelli, si sta consumando una tragedia annunciata. L’offensiva delle forze filo Assad sostenute dai caccia russi sta producendo i suoi terrificanti effetti. Le forze di Damasco premono da sud verso nord per prendere il controllo della superstrada strategica M4 che da Latakia (dalla costa siriana del Mediterraneo) arriva a Idlib e la M5 che collega il centro dell’enclave ribelle con Aleppo per poi correre nella Siria nordorientale; stringono nella morsa di un assedio la roccaforte di Hayat Tahrir al Sham (HTS), la milizia jihadista filo al-Qaida che controlla la maggior parte di quella provincia siriana abitata da oltre tre milioni di persone. Secondo la Fondazione umanitaria di soccorso turca, centoventimila residenti di Idlib sono in queste ore in fuga, cercano scampo nella campagna siriana tra gli ulivi e i più fortunati con autoveicoli stracarichi dei loro poveri beni sono in marcia verso il confine turco.

L’agenzia ONU per i rifugiati parla del possibile esodo di un milione di persone e il presidente Erdoğan ha subito dichiarato che «la sua nazione non sopporterà da sola un simile carico migratorio». «Anche l’Unione europea dovrà assumersene la responsabilità, altrimenti – ha aggiunto Erdoğan – saranno la Grecia e altri paesi europei a dover sopportare un simile peso».
È molto chiaro l’allarme che ha lanciato il presidente turco: o l’Unione europea sarà disposta a condividere tale nuovo afflusso di rifugiati o la Turchia, che già ospita 3,7 milioni di siriani, lascerà passare i profughi attraverso l’Egeo, proprio verso l’Europa. Di fronte alla nuova ondata di rifugiati che si ammassano al confine turco, Ankara ha inviato lunedì una delegazione a Mosca nel tentativo di negoziare un cessate il fuoco.  Le truppe del regime siriano, appoggiate dall’aviazione russa, la scorsa settimana hanno lanciato una nuova offensiva nella provincia di Idlib controllata dall’opposizione che rappresenta una minaccia per le vicine basi russe di Latakia.  La tecnica è quella già usata dai russi a Grozny, in Cecenia, nel 1999 e nella guerra siriana nella Ghouta orientale a Daara e a Quneitra: con una potenza di fuoco aerea e terrestre martellante si spaventa la popolazione e la si costringe alla fuga dai villaggi dopo piovono dagli elicotteri di Damasco bombe a barile; vengono colpiti anche scuole, ospedali e soccorritori. E poi le forze di terra conquistano i villaggi ormai rasi al suolo.

I bombardamenti in quest’ultima settimana si sono concentrati soprattutto sul villaggio martoriato di Maarat al Numan a sud di Idlib dove vivono oltre settantamila persone. Scontri feroci continuano tra gruppi jihadisti e le forze del regime nelle aree della campagna orientale e sud-orientale di Idlib. Al momento sono 45 i centri abitati conquistati in una sola settimana dalle forze di Assad. A Idlib si sta giocando una partita cruciale dello scacchiere siriano, da molti ignorata. È in gioco una contesa tra Russia e Turchia. L’avamposto turco a Surman, a sud di Idlib, sarà completamente circondato a giorni. Vedremo se Ankara, come vuole Mosca, si ritirerà. Ma il ministro degli Esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha ribadito che non intende ritirare i suoi avamposti dal sud di Idlib e che la loro protezione dovrebbe essere garantita dall’accordo stipulato con Mosca a Sochi col Memorandum sulla costituzione della zona di de-escalation del 17 dicembre 2018.
Le forze turche sono presenti in quest’area della Siria nordoccidentale con 12 postazioni militari per creare una zona cuscinetto che tenga separate le forze ribelli da quelle del regime come concordato a Sochi. Ora Ankara rischia uno scontro con le forze del regime sostenute da Mosca.