Giuseppi contro tutti
La lettera di Giuseppe Conte e le amnesie selettive
Il leader M5S va contro i maggiori esponenti del governo Meloni chiedendone le dimissioni, ma al Ministro Lollobrigida concede la grazia. E qualcosa non torna

Giuseppe Conte calca il palcoscenico di Repubblica con una lunga lettera aperta il cui destinatario è Palazzo Chigi, sua nostalgica ossessione. Si indirizza così a Giorgia Meloni, da pari a pari, per darle una serie di consigli non richiesti: “Presidente Meloni, è una questione morale. A casa Delmastro, Sgarbi e Santanché”. Lo svolgimento è facilmente immaginabile da chi legge: una lunga reprimenda in stile grillino dove si elencano, in modalità frullatore, inchieste giudiziarie e non, vicende private e personali, polemiche giornalistiche. Fa lo stesso: Delmastro, Sgarbi e Santanché, per stare all’ordine dato dal titolista, devono dimettersi.
Lo wishful thinking
Così mentre il ministro Guido Crosetto dice a buon diritto che l’opposizione più temibile al governo può venire dalla magistratura, quel timore si declina in desiderata da parte di Conte. Che non fa altro che dare corpo ai suoi wishful thinking: spera che la scure delle Procure si abbatta su questo o quell’esponente del governo Meloni, incaricandosi di metterne in fila un elenco. Da par suo: mettendo cioè i fatti in ordine di gravità pentastellata e terminando la sua lettera aperta con un appello alla premier. “Auguriamo ai membri del suo governo coinvolti in procedimenti penali – prosegue Conte – di potersi difendere efficacemente in giudizio, con tutte le garanzie del giusto processo. Al di là delle vicende giudiziarie, che poi si risolvono nei tribunali, esistono ragioni di opportunità politica”. Insomma, la presunzione di innocenza non lo riguarda : esistono solo colpevoli, nell’armamentario ideologico grillino. E se non ci sono condanne passate in giudicato, perché attendere tanto ? Intanto ci si dimetta, poi si vedrà.
Le risposte
A Conte naturalmente si incaricano di rispondere gli esponenti più vicini a Giorgia Meloni. A cominciare da Guido Crosetto : «Conte che solleva questioni morali è un po’ surreale. Ciò detto, io sono un garantista, garantista da sempre anche con gli avversari. Delmastro è stato rinviato a giudizio con la richiesta del pm di non rinviarlo a giudizio, il che mi dà l’idea di come potrebbe andare a finire. La Santanché non mi pare abbia nulla sul piano giudiziario, Sgarbi – tranne qualche inchiesta fatta da qualcuno- non mi pare ci sia anche per lui nulla di giudiziario. Quindi bisognerebbe dimettersi per degli articoli di giornali fatti da giornali amici di Conte? Ha una bella idea di democrazia… ».
Poi, interpellato da Adnkronos ad argomentare, ha aggiunto : «La nostra Costituzione prevede che ognuno di noi sia innocente fino al terzo grado di giudizio, e gli articoli di giornali non sono citati come atti di colpevolezza, nemmeno nei Regolamenti di Camera e Senato, quindi » quella di Conte «la trovo sia strumentale come richiesta. Qualora ci saranno elementi per cui qualcuno dei membri del governo non sarà credibile o potrà rendere meno forte l’azione di governo, sarà la persona stessa a dimettersi senza che nessuno glielo chieda, ma non sono assolutamente quelli citati dal leader M5S i casi».
Si limita a mandare «Un bacio a Conte» la ministra del Turismo, Daniela Santanché. Replica invece più coloritamente il sottosegretario alla Cultura Vittorio Sgarbi: «Giuseppi Conte, di cui non si conosce un pensiero, un’idea, un libro, alla guida di un partito di cui paga il fondatore per insultarlo, piccolo gigolò che attrae signore deluse dal marito, non sa quello che dice. Prima di parlare delle mie consulenze, si occupi delle sue: dal caso Retelit e fino a quelle con Acqua Marcia Spa. La vera questione morale è la sua presenza in questo Parlamento».
Il caso
Sgarbi risponde di sciabola alla spada dell’Avvocato grillino. Facendo riferimento a quella vicenda di inizio 2022, quando la Guardia di Finanza su ordine della Procura di Roma ha acquisito documenti a casa di Giuseppe Conte sull’incarico di consulenza da 400mila euro ottenuto dall’ex premier, nelle vesti di avvocato, nell’ambito del concordato del gruppo Acqua Marcia. I finanzieri andarono anche nello studio di Guido Alpa, mentore di Conte, il quale a sua volta aveva avuto un incarico di valore simile per lavorare alla ristrutturazione del debito della società immobiliare che faceva capo a Francesco Bellavista Caltagirone. Fu allora la pm romana Maria Sabina Calabretta ad essere incaricata di verificare l’esistenza o meno di profili di illecito. Anche in quel caso, non vi furono iscrizioni di fascicoli di inchiesta. A differenza di quanto fa Conte oggi, nessuno chiese un suo passo indietro in nome di chissà quale superiorità morale, benché fossero proprio i giorni in cui il grande moralizzatore assumeva la carica di leader del Movimento.
Oggi invece Conte ne ha per tutti. O quasi: attacca alcuni ministri a testa bassa, riservando per altri un buffetto bonario. Derubrica la posizione di Francesco Lollobrigida, che a leggere bene il suo testo mette in luce diversa dagli altri: « Sebbene la sua vicenda possa essere giudicata di minore rilievo ai fini della permanenza nell’incarico di governo …» dettaglia Conte. Che gli concede una sorta di « grazia ». La sua vicenda non può certo mettere in ballo la permanenza di Lollobrigida nell’esecutivo, concede magnanimo. Ma come, la fermata a richiesta del Frecciarossa è un episodio accertato che ha fatto scandalo, e per Conte è un fatto minore rispetto a sospetti inconsistenti, lontani dall’essere provati ? Qualcosa non torna.
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