Sulla stampa americana, inglese, francese e di molti paesi europei si parla di un argomento tornato di moda: la percezione della guerra. Non la guerra nei filmati, ma l’umana pena del percepire la guerra per ricordare e far ricordare che cosa è. Gli adulti dei tempi della Seconda guerra mondiale che erano vivi sui campi di battaglia o nelle prigioni, e poi nella politica, sono estinti, come i dinosauri. E le considerazioni politiche di oggi sono necessariamente tipiche di una generazione che non ha la più pallida idea di che cosa significhi vivere una guerra. Jean Giraudoux scrisse nel 1935 una pièce teatrale intitolata “La guerra di Troia non si farà”. La prima messa in scena fu nel Théatre de l’Athénée che cinque anni dopo sarà occupato dalla Gestapo nazista. Oh, se si fece, la guerra di Troia. Io, senza accorgermene, sono stato un bambino bombardato. Per cento bambini di tre anni come me fu la morte in quel 19 luglio del 1943 quando vidi il cielo pieno di piccoli nastri d’argento che formavano grandi triangoli. Mia madre mi ghermì e ci rifugiammo nel rifugio. Più di tremila morti e sentii per la prima volta un odore che non esiste più ma potrebbe tornare: l’odore della paura cui seguiva quello della fame, del vedere e parlare di morti. Gli americani la guerra in casa non l’hanno avuta ma mandarono un milione di soldati a combattere e a morire.

L’enigma del gatto di Schrodinger

Oggi la guerra non viene maneggiata con cura dalla maggior parte dei politici perché non hanno idea di che cosa sia, salvo chi ha dedicato più attenzione all’Ucraina aspettando il suono del missile. Chissà com’è l’odore dei droni. Sarebbe confortante sapere se poi questa dannata guerra ci sarà e possiamo soltanto darci ad un esercizio di surreale realismo. Quello noto come enigma del gatto di Schrodinger. Si prende il gatto del dottor Schrodinger e lo si chiude in una scatola in cui un perfido meccanismo del tutto casuale potrebbe far morire il gatto con esalazioni di veleno. Chi sta fuori non ha la più pallida idea se la povera bestia sia morta o viva. Il fatto è che in assenza di notizie quel gatto è allo stesso tempo sia morto che vivo. Noi viviamo tutti in Europa con la sgradevole sensazione di non poter sapere se la guerra è scoppiata oppure se non scoppierà mai.

La partita politica che si gioca nell’Europa occidentale è diversa, quanto a percezione, da quella dell’Europa orientale i cui abitanti conoscono molto bene il fraterno visitatore russo con i suoi carri armati, le sue elezioni fittizie, le sue polizie segrete che aiutano i padri a denunciare i figli e i figli a denunciare i padri. Oggi è difficile per noi comprendere che i polacchi hanno da oltre un secolo un conto aperto con i russi: non per caso Vladimir Putin ha fatto cancellare dai libri di storia e ha minacciato e applicato la galera a chiunque si azzardi a ricordare che la Russia comunista di Joseph Stalin si prese a mano armate una metà abbondante della Polonia nel 1939, lasciandone il 49% ad Adolf Hitler. A questo punto il lettore non ne può più, alza le spalle e cambia pagina perché non sa riconoscere l’odore e il colore della paura e del sangue, del terrore come ecosistema, nella svendita di ogni principio. In fondo è noioso e menagramo mettere la guerra al primo posto specialmente in politica. Possiamo parlare d’altro, per favore? No, meglio di no. Anche perché il presidente Vladimir Putin sa tutto, è un esperto e dà lezioni di pacato realismo: ad una donna spaventata dopo una sua spiegazione della normalità delle bombe atomiche che disse “Vladimir Vladimirovic, ma allora rischiamo di morire tutti quanti!”, lui con calma da paziente soldato rispose: “E che ci vuol fare: andremo tutti in paradiso”.

Maneggiare una vera guerra con vera politica

Putin, ha ricordato ieri il Dipartimento di Stato americano, è comunque il reale presidente della Federazione russa. E non sta a noi decidere quanto siano oneste le sue elezioni. È il presidente di una potenza nucleare che conferma ogni giorno di essere pronto ad usare le armi più infernali. Lo dice con tono non esaltato e molti pensano che sia molto meglio arrendersi che soccombere. Quando noi italiani usiamo l’espressione “la politica”, intendiamo il vago insieme delle dichiarazioni tattiche, a geometria variabile secondo la vicinanza delle prossime elezioni.
L’Europa si sta raggrumando in posizioni incrinate dai pregiudizi e dalla volontà di pochi di non concedere nulla alla prepotenza per non dover poi trovarsi sopraffatti dalla violenza. Vladimir Putin è un giocatore scaltro e competente, un comunicatore che fa proseliti specialmente in Italia che risulta essere il paese più filorusso dopo la Russia. E così andiamo incontro alle elezioni europee in ordine sparso e disarticolato. Le circostanze stesse della realtà sembrano indecifrabili come sempre prima delle catastrofi: generazioni di studenti si sono fermati in Storia alle misteriose “causa della prima guerra mondiale”. Lasciamo stare le prime due. Vorremmo evitare la Terza ma senza darla vinta, e senza darla per persa. La politica deve ancora imparare come si maneggia una vera guerra con vera politica.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.