La maggioranza si è spaccata sulla Rai, il governo è andato sotto sul canone Rai, ma il grande assente della discussione di queste ore è proprio la Rai. Dietro alla più grave caduta parlamentare di questi due anni di governo Meloni non c’è, infatti, alcuna discussione sul merito, ma solo una questione di potere e di sgambetti reciproci. È evidente che i problemi di rapporti politici (e forse anche personali) tra Meloni, Salvini, Tajani (e la famiglia Berlusconi) si stanno deteriorando. A pagarne le spese, però, sono gli italiani, che non soltanto si troveranno per la prima volta dopo 10 anni una Legge di Bilancio che comporterà sacrifici, ma saranno anche chiamati ad aumentare la spesa per la Rai, col canone in bolletta che torna a 90 euro dopo un anno a 70. A fronte di questo aumento, però, i cittadini non avranno una Rai migliore, anzi continueranno a trovarsi quella che, a giudicare dai bassi ascolti e la chiusura a ripetizione di nuovi programmi, sembra configurarsi come la peggiore Rai di tutti i tempi.

Il potere della Lega in Rai

Se davvero Salvini vuole fare qualcosa per i cittadini a proposito di Rai, dopo la débâcle parlamentare sul canone, perché proprio lui, che in questo momento accentra un potere enorme, non pretende dalla Rai impegni veri sul miglioramento del servizio e la riduzione degli sprechi? La Lega in questo momento, per le cariche che ricopre, è il primo o secondo partito più influente sulle scelte di Viale Mazzini. Ha 6 parlamentari in commissione di Vigilanza: Bergesio, Bisa, Candiani, Maccanti, Minasi, Murelli. Ha il titolare del dicastero azionista dell’azienda, il Mef guidato da Giorgetti. Ha il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Morelli, che si occupa da anni di Rai. Può contare su uno dei commissari dell’Agcom, Massimiliano Capitanio, nella passata legislatura capogruppo Lega in Vigilanza.

Altro che taglio 20 euro

La Lega è, inoltre, rappresentata in Cda Rai dal consigliere anziano facente funzioni di presidente, Antonio Marano, e ha indicato all’interno dell’azienda una pletora di direttori, vicedirettori, alti dirigenti nelle posizioni più strategiche, anche perché dal 2018 a oggi il partito di Salvini è stato al governo per più di 5 anni, considerando il sostegno ai governi Conte 1, Draghi e Meloni. Insomma, indipendentemente dal taglio o meno dei 20 euro di canone in bolletta, Salvini avrebbe tutto il potere per chiedere alla Rai di mettere in campo un serio piano industriale ed economico. Perché non lo fa?

Tg-cinegiornali, fuga dei volti storici, Rai e radio in declino

Negli ultimi mesi la Rai ha fatto notizia per le nuove trasmissioni, i flop di share, il crollo degli ascolti di alcuni tg trasformati in cinegiornali, la fuga di volti storici (pensiamo a Cazzullo, Augias, Amadeus, Gramellini, Annunziata, Fazio, Berlinguer, Di Bella, Mannoni) che stanno facendo la gioia della concorrenza. Gli spazi di informazione si sono drasticamente ridotti, unica novità è il rientro di Giletti. Pensiamo anche alla Radio, totalmente abbandonata nelle strategie aziendali e superata ormai stabilmente dalle emittenti commerciali. Il sito della Rai continua a essere non concorrenziale nell’offerta delle news. L’azienda appare totalmente allo sbando e gli italiani giustamente si chiedono non tanto se il canone debba essere di 70 o di 90 euro, ma se sia giusto in generale pagarlo e per che cosa.

Se avessero un’informazione che arriva prima sulle notizie, la trasmissione delle grandi manifestazioni sportive (in un’intervista il presidente della Federtennis Binaghi ha parlato del rischio che la Rai perda il tennis), la sperimentazione di nuovi format e l’intrattenimento di qualità, gli italiani potrebbero anche essere d’accordo nel pagare una certa cifra. Se, però, i soldi dei contribuenti servono solo a mantenere in piedi strutture elefantiache e incomprensibili, come le 7 testate giornalistiche con tanto di direttori, condirettori e vicedirettori, allora è chiaro che qualche dubbio viene. Su questo Salvini è pronto a chiedere impegni alla Rai o continuerà a lottizzare come ha fatto in questi anni, col rischio davvero che la tv pubblica si trasformi nella nuova Alitalia?