Tra la separazione delle carriere e i pacchetti sicurezza
La riforma scomparsa, far sì che il tempo della prescrizione non corrisponda più al tempo della vita di una persona

La prescrizione è scomparsa dal dibattito politico istituzionale. L’azione parlamentare della maggioranza di Governo sui temi della giustizia ha logiche talvolta imperscrutabili: da una parte la sacrosanta iniziativa per la separazione delle carriere che si muove su un piano valoriale liberale, dall’altra un profluvio di “pacchetti sicurezza” che vanno in direzione opposta. Per non dire dell’irragionevole indisponibilità anche solo a considerare, magari individuandone limiti perimetrali, amnistia e indulto. L’opposizione, pure mostrando una qualche apertura alle proposte sulla condizione del carcere, è per il resto appiattita sulle posizioni di netta chiusura della magistratura associata.
La legge Bonafede sulla prescrizione
Così evidentemente si spiega, nel disinteresse della politica, la sparizione dai radar dell’iniziativa legislativa in materia di prescrizione. L’incidenza del tempo è elemento centrale della stessa qualità del processo, la sua ragionevole durata è chiamata a segnarne i confini. Vi è un periodo oltre il quale il processo è deprivato del suo significato sociale ed è esaurito l’interesse pubblico alla punizione. Sono queste le ragioni per le quali la comunità dei giuristi ebbe a mobilitarsi contro la legge Bonafede, che dal primo gennaio 2020 ha abrogato la prescrizione dopo la sentenza di primo grado, così costruendo un processo infinito.
Fu tale l’indignazione da convincere tutte le forze parlamentari, ad eccezione del partito di Bonafede, della necessità di superare quella scelta, espressione del giustizialismo più bieco, peraltro dalle conseguenze devastanti per la stessa gestione della macchina giudiziaria. Con quella riforma si è distrutto l’unico strumento in grado di svolgere una funzione calmieratrice, al punto che qualcuno sostenne che la nuova disciplina avrebbe avuto l’effetto di “una bomba atomica” in grado di mandare in tilt il sistema. Ha provato a metterci una pezza la riforma Cartabia, non scardinando il principio, ma introducendo i meccanismi della improcedibilità che stanno muovendo i primi passi nelle Corti di merito subito però rivelando limiti e inadeguatezza della soluzione.
In effetti, la Camera dei Deputati, dopo un acceso e ricco dibattito, ha licenziato, nel gennaio 2024, un nuovo disegno di legge che prevede il ritorno alla prescrizione sostanziale con meccanismi di sospensione per 24 mesi tra il primo grado e la sentenza di appello e di 12 mesi per il giudizio di Cassazione; se in tale tempo non interviene la decisione, la prescrizione riprende il suo corso e dovrà essere calcolato anche il periodo di sospensione. Non è la migliore soluzione possibile, ma è certamente una base di discussione che almeno consente di superare l’obbrobrio della “spazza corrotti”. Da un anno però il disegno di legge è bloccato al Senato: nessuna calendarizzazione in Commissione Giustizia, presieduta dall’On. Bongiorno, nessuna iniziativa parlamentare sul tema. PQM intende rilanciare la discussione su una riforma fondamentale per la definizione del patto sociale. I prestigiosi interventi che ospitiamo spiegano perché una iniziativa sia urgente e necessaria, non solo per recuperare la natura dell’Istituto ma, soprattutto, per far sì che il processo, qualsiasi processo, duri un tempo ragionevole e il tempo della prescrizione non corrisponda più al tempo della vita di una persona. Buona lettura.
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