Il Presidente del Senato Ignazio La Russa ha rilasciato al quotidiano Libero una dichiarazione delirante sull’attentato di via Rasella (marzo 1944), eseguito da un gruppo di partigiani gappisti romani. Ha detto che è stata un’azione tutt’altro che nobile, ha detto che l’obiettivo dei partigiani era sbagliato e ha detto che i partigiani sapevano che avrebbero innescato una ritorsione da parte dei tedeschi.

L’obiettivo, secondo La Russa, era sbagliato perché fu colpita una “banda di semi-pensionati musicisti”. Ha detto esattamente così. Però non è vero. La Russa ha confuso un battaglione di polizia nazista integrato nelle SS – il battaglione Bozen – con una banda musicale. Son cose diverse. E nessuno di loro era sulla via della pensione: il più vecchio aveva 42 anni. Non so se La Russa ha sbagliato apposta o se conosce poco le cose. Però ogni tanto dovrebbe ricordarsi di essere la seconda carica dello Stato, non un attivista del Msi.

Quanto alla seconda parte della sua dichiarazione, quella sulla consapevolezza della ritorsione da parte dei partigiani, La Russa ha implicitamente alluso a una responsabilità dei Gap (si chiamavano così i membri della resistenza romana) nella strage delle Fosse Ardeatine, e cioè nella fucilazione di 335 detenuti (in gran parte militanti di partiti di sinistra e della Dc, in parte ebrei, in parte anche prigionieri comuni) che avvenne per ritorsione il giorno dopo l’attentato, sotto il comando del colonnello Herbert Kappler e del tenente Erich Priebke. La dichiarazione di La Russa ha sollevato la ragionevole indignazione di molti esponenti della sinistra, prima fra tutti la nuova segretaria del Pd, Elly Schlein, che ha definito inaccettabili le parole di La Russa, e poi il capogruppo dei dem in Senato, Francesco Boccia, e poi Nicola Fratoianni e molti altri parlamentari dell’opposizione.

La dichiarazione più aspra, una vera frustata, è probabilmente quella di Ruth Dureghello, presidente della comunità ebraica romana. La quale ha detto: «Non erano musicisti, erano soldati delle SS che occupavano il paese con la complicità dei fascisti e che deportavano gli ebrei nei campi di sterminio. Viva i partigiani che hanno messo a rischio la propria vita per restituire libertà e sovranità all’Italia». La Russa, quasi per attenuare la violenza delle sue affermazioni antipartigiane – che sono in perfetta armonia con le linee politiche della Repubblica di Salò, e cioè dello Stato organizzato da Mussolini nel Nord Italia dopo l’8 settembre 1943, con la protezione dell’esercito tedesco – ha poi aggiunto che lui tuttavia rispetta tutti i combattenti, anche i partigiani e persino i partigiani rossi, cioè i comunisti che però – secondo lui – non combattevano per liberare l’Italia ma per realizzare una dittatura comunista.

Anche qui ci sono alcune serie lacune in materia storica. I partigiani rossi, innanzitutto, non erano una appendice eversiva e folkloristica della Resistenza, ma ne erano la spina dorsale. I partigiani rossi furono la grande maggioranza dei combattenti. Il mistero dell’enorme consenso popolare che il Pci raccolse, soprattutto nell’Italia settentrionale, dopo la caduta del fascismo, si spiega soprattutto così: come conseguenza del grande peso che i comunisti ebbero nella lotta di liberazione. E poi non è vero che il Pci partecipava alla Resistenza con spirito scissionista. Tutt’altro. Fu Togliatti in persona – cioè il più comunista dei comunisti – quando rientrò dall’esilio in Russia e sbarcò a Salerno, nell’autunno del 1943, a chiedere che fosse riconosciuta addirittura la monarchia – litigando coi socialisti e coi liberali – e fu lui a partecipare direttamente a un governo giurando nelle mani del re Vittorio Emanuele Terzo.

Ora, qual è il problema? Esiste o no il diritto per un leader politico di destra, o per chiunque altro, di disprezzare la Resistenza, probabilmente sotto l’influenza della propria storia politica e anche della propria passione? Io penso assolutamente di sì. Esiste e guai se non esistesse. Però se la seconda carica dello Stato, fosse pure per errore, rilascia dichiarazioni di disprezzo per la Resistenza, addirittura attribuendo ai partigiani delle responsabilità per le Fosse Ardeatine, sicuramente si pone un serissimo problema di opportunità. Si era già posto, il problema, per la gaffe di Giorgia Meloni, quando disse giorni fa che le vittime delle Fosse Ardeatine furono uccise dai nazisti solo perché italiani. Cosa non vera. Furono uccisi in quanto antifascisti ed ebrei, non in quanto italiani. E tutti hanno interpretato quella frase storta della Meloni come prova della sua difficoltà a pronunciare la parola “antifascisti”.

Questo scivolone, intenzionale o no, di La Russa, però è molto più grave. Peraltro non sembra causale. Sembra piuttosto il risultato di una strategia, che punta a sdoganare frasi, idee, suggestioni, parole, tipiche del vecchio fascismo per spostare all’estrema destra l’asse della attuale maggioranza. Questo non vuol dire che oggi in Italia ci sia un rischio fascista. Chiaro che non c’è. Come diceva il saggio Marx, nella storia i fenomeni si presentano due volte: la prima come tragedia, la seconda come farsa. E oggi siamo, appunto, alla ripetizione come farsa.

Però una questione c’è. Sta in questa domanda: è ragionevole che il centrodestra si faccia trascinare dalle intemperanze fasciste o simil- fasciste dei suoi esponenti più reazionari? Questa deriva non rischia di sporcare l’immagine della maggioranza, e soprattutto l’immagine dell’Italia all’estero? Non sarebbe il caso che la parte liberale e antifascista del centrodestra, che pure è largamente maggioritaria, chiedesse una misura drastica che ristabilisca il rispetto per la storia della Repubblica? Cioè, non sarebbe opportuno che Ignazio La Russa lasciasse la presidenza del Senato e continuasse liberamente a fare il leader politico di destra?

P.S. Dopodiché non è vietato discutere, 80 anni dopo, sull’uso dell’attentato nella lotta politica. Anche sulla sua “eticità”. Però bisogna tenere conto del fatto che i partigiani non stavano semplicemente facendo lotta politica: stavano combattendo una guerra contro i tedeschi e una guerra civile contro i fascisti. Io sono un pacifista, ho sempre avuto dubbi sull’uso delle armi. Ma che se sei in guerra usi le armi e la dinamite, mi pare lapalissiano.

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Giornalista professionista dal 1979, ha lavorato per quasi 30 anni all'Unità di cui è stato vicedirettore e poi condirettore. Direttore di Liberazione dal 2004 al 2009, poi di Calabria Ora dal 2010 al 2013, nel 2016 passa a Il Dubbio per poi approdare alla direzione de Il Riformista tornato in edicola il 29 ottobre 2019.