Letture
Una vita partigiana tratteggia una figura leggendaria
La singolare inquietudine del partigiano Trombadori: la biografia di un intellettuale e un uomo politico atipico

Di Antonello Trombadori – “poeta, critico d’arte, uomo politico”, come è scritto sulla targa del vialetto a villa Borghese a lui intitolato – si potrebbero dire milioni di cose, tanto furono la sua personalità e la sua biografia così incredibilmente ricche. Gran merito dunque di Mirko Bettozzi averne reso una fervida idea nella biografia trombadoriana (“Una vita partigiana”, con prefazione di Paolo Franchi e postfazione di Duccio Trombadori, ed. Castelvecchi), ove si restituisce appieno il valore di questa figura pressoché unica: partigiano di primissima fila, dirigente e parlamentare del Pci, collaboratore dei più grandi registi italiani, organizzatore culturale, poeta e pittore egli stesso.
Il suo nome, come ormai accade in questo tempo senza memoria, è via via scivolato negli archivi storici senza che siano più tra noi i protagonisti di quella storia a rammentarcene la dimensione grande, da un punto di vista culturale e politico. Giacché Trombadori – Eroe, con la “e” maiuscola, della Resistenza romana, dirigente dei Gap, i Gruppi di Azione patriottica – forse come nessun altro seppe piazzarsi con pari autorevolezza a cavallo tra politica e cultura, e sempre con originalità mai tarpata dalla pur ingombrante militanza ideologica comunista. Cosa mosse l’intellettuale, e anche, a suo modo, il politico? Fu l’inquietudine: morale, in primo luogo, quella che animò il patriottismo antinazista nella Roma di Kappler e poi, quasi senza una soluzione di continuità, l’inquietudine politica e culturale insieme che lo portò a un singolare incontro tra il marxismo italiano e le espressioni più moderne dell’arte.
E l’inquietudine lo turbò forse alle soglie di una conversione alla religione che sentiva vicina e parallelamente lo portò a un dissenso forte con il partito di una vita, divenuto per lui forse troppo poco “togliattiano”, nel senso della perdita di un certo rigore nell’analisi e nell’agire. E quanto ingiusto fu il risentimento contro di lui di una parte dei comunisti romani nei primi anni Ottanta…
Fa infine piacere ricordare qui il tratto umano di Trombadori, quel suo scattare nervoso perché passionale, l’ironia tutta romanesca rinvenibile nei suoi sonetti, la vis polemica (questo non c’è nel bel libro di Bettozzi) che per esempio riversò nella critica dura a Pasolini, in polemica con i giovani comunisti romani che lo invitarono a parlare a una Festa proprio dedicata al poeta friulano nel 1985: dal palco ringraziò con una punta di emozione per l’invito e poi non lesinò stilettate agli organizzatori pro-pasoliniani. E alla fine, sceso tra i giovani della Fgci, li ringraziò ancora una volta prima di incamminarsi nella calda notte romana.
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