La sua vita ripercorre un secolo di Storia d’Italia. Lucy Salani, al secolo Luciano, a 97 anni è la trans più vecchia d’Italia. Ma ha ancora tanto da raccontare, come la sua storia fatta di lotte e dolori. Lo ha fatto in un docufilm dal titolo “C’è un soffio di vita soltanto” di Matteo Bortugno e Daniele Coluccini.

Per i registi Lucy è “per proprio istinto in linea con i movimenti trans di oggi – dicono intervistati dal Corriere della Sera – Lei dice di non capire perché una donna, una persona che si sente donna non possa continuare a chiamarsi Luciano”, come ha voluto restare all’anagrafe. “Il nome è sacro – ha detto – me l’hanno dato i miei genitori”. Eppure, proprio i suoi genitori e i suoi fratelli, non l’hanno mai capita fino in fondo. “Sono un intruglio perché in me ho sempre sentito prevalere la parte femminile: avevo movenze femminili da piccolo, mi piaceva giocare con le bambole. Sono andata avanti con una doppia identità ma mi sentivo donna. Alla fine l’unica che mi ha accettata è stata mia madre”.

Lucy è nata nel 1924 a Fossano in una famiglia antifascista di origini emiliane. Sin da piccola si è sempre sentita donna. “Mia madre era disperata – racconta Lucy nel documentario – Volevo sempre fare ciò che a quell’età facevano le bambine: cucinare, pulire e giocare con le bambole. Mio padre e i miei fratelli non mi accettarono. Negli anni trenta i miei genitori si trasferirono nel bolognese e fu così che in città allacciai amicizie con diversi omosessuali. Che colpa ne ho io, se la natura mi ha fatto così? Me lo sono sempre chiesta e ho cercato di farlo capire”.

Erano gli anni ’30 del ‘900, il fascismo era in auge e in quel tempo la vita per Lucy non era semplice. Si era creata una cerchia di amici omosessuali tra cui si sentiva al sicuro e libera di essere ciò che voleva. Poi come tutti i giovani ragazzi di quegli anni, anche per lei arrivò la chiamata alle armi, provata a scampare inutilmente dichiarandosi omosessuale. È da quel momento che parte la sua drammatica esperienza. Prima portata in un campo di lavoro, poi nel campo di sterminio nazista di Dachau dal novembre del 1944 al maggio del 1945.

Visse un vero e proprio inferno nel lager di Dachau. Ci finì non come omosessuale nonostante così si dichiarasse allora, ma come disertore dell’esercito tedesco a cui aveva aderito dopo l’8 settembre, quando fu fermata in fuga da quello italiano. “Quello che ho visto nel campo è stato spaventoso – ha raccontato ancora Lucy al Corriere – Bruciavano i morti e c’era chi era ancora vivo e si muoveva tra le fiamme. Terribile. La mattina quando guardavi la recinzione elettrificata trovavi un mucchio di ragazzi attaccati con le fiammelle che uscivano dal corpo”.

In Dio non crede. Ma da prima, da quando un prete la molestò da ragazzino a Fossano in un confessionale. Invece sogna gli extraterrestri e ama i film di fantascienza: “Avatar è il mio preferito: esplorare un nuovo mondo in un nuovo corpo, un capolavoro. Io ne ho viste e passate troppe, comincio davvero ad avere voglia di cercare vite su altri pianeti”. Non lo dice lei ma tra le esperienze orrende ci fu anche il cambio di sesso, negli Anni 80 a Londra: “Era sessualmente attiva – racconta Botrugno – ma lì non hanno pensato a garantire che provasse ancora piacere, dopo. Hanno fatto i macellai: tagliato e fatto un buco”, conclude crudo.

A Torino Lucy è andata perché vi ha e vi ha lavorato da tappezziere. Di quei giorni ricorda “la dolcezza di Patrizia, mia figlia, la ragazza che ho praticamente adottato quando ero lì» e che un tumore in giovane età le ha strappato nel 2014. Anche questo le è toccato vivere. Con “il sorriso del mio fidanzato inglese negli Anni 50 e i miei viaggi in giro per Europa e Nord Africa – racconta oggi Lucy – Patrizia è stata tra i pochi momenti felici della mia vita”.

Ora Lucy vive a Bologna nella periferia di Borgo Panigale, assistita da volontari che sono ormai diventati suoi amici. Ospita un quarantenne marocchino, Said, che a tutti gli effetti è ormai un suo nipote. Lucy non si arrende mai e ci vede ancora benissimo: “Ho appena superato la visita medica per il rinnovo della patente!”, ha raccontato. Ma è da un po’ che non guida: “Mi sono tornati dei problemi alla gamba alla quale mi hanno sparato durante la liberazione del lager di Dachau. Se guido mi fa molto male”.

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Laureata in Filosofia, classe 1990, è appassionata di politica e tecnologia. È innamorata di Napoli di cui cerca di raccontare le mille sfaccettature, raccontando le storie delle persone, cercando di rimanere distante dagli stereotipi.