Il D-day degli emendamenti, in quell’incrocio infernale tra Camera – 1631 subemendamenti alla riforma Cartabia – e Senato – un migliaio di emendamenti al ddl Zan, è la fotografia perfetta di come procederà la legislatura nei prossimi mesi congelati dal semestre bianco: cortine fumogene alzate dai partiti per tentare di alzare bandiere identitarie e destinate ad essere spazzate via dal pragmatismo di palazzo Chigi dove il premier Draghi ripete un solo concetto: andare avanti, approvare i provvedimenti del Pnrr, questo governo è nato per decidere altrimenti io mi faccio da parte, chi ostacola il cammino faccia pure ma se ne assumerà con chiarezza la responsabilità davanti al Paese.

Il disegno di legge Zan contro l’omotransfobia si ferma nella ragnatela di oltre mille emendamenti depositati ieri in aula di cui 672 solo della Lega (e sono quelli prodotti con l’algoritmo), 20 specifici di Calderoli (sono quelli seri e specifici, di merito sull’articolato del ddl Zan), 80 quelli della senatrice cattolica Binetti. Quattro emendamenti portano la firma della senatrice Unterberg (Autonomie) e altri quattro sono di Italia viva (due a doppia firma Faraone-Cucca; altri due Cucca-Nencini). Anche questi sono molto specifici e intervengono per lo più sugli articoli 1-4 e 7, ovverosia quelli che introducono la contestatissima “identità di genere”, la cosiddetta “salva-idea” e la giornata gender nelle scuole. Forza Italia ne ha presentati 134 e Fratelli d’Italia 127. Cinque portano la firma del senatore De Falco («con due avvocati penalisti abbiamo cercato a scrivere meglio la legge senza stravolgerla, la versione attuale è tecnicamente sbagliata») e altri tre dell’ex 5 Stelle Mattia Crucioli (Alternativa c’è).

Pd e 5 Stelle tengono il punto, non presentano emendamenti perché il testo va approvato così com’è. Ma dalla cortina fumogena sollevata dagli emendamenti prende forma la nuova strategia di Pd. Leu e M5s: far slittare tutto a settembre e usare la magnifica arma del ddl Zan nella campagna elettorale per le amministrative. I sondaggi dicono che il tema paga, dà e leva consenso. Perfetto per riempire le piazze a settembre e alimentare i talk estivi. Mentre il governo sarà al lavoro sui progetti e le riforme del Pnrr, l’unica cosa che conta per Draghi. E anche per il paese. La strategia prende forma nella capigruppo che ieri pomeriggio doveva dare il timing del ddl Zan. Che però è sembrato per magia evaporare rispetto alle urgenze che sono invece quattro decreti che devono essere convertiti prima della pausa estiva. «Lavoreremo fino al 9-10 agosto» è la previsione del capogruppo della Lega Massimiliano Romeo. «Abbiamo fissato i lavori fino al 30 luglio ma lo Zan non c’è e il Pd neppure lo ha chiesto» fa notare Romeo. In effetti la capogruppo del Pd Simona Malpezzi e il capogruppo in Commissione Giustizia Franco Mirabelli commentano il numero di emendamenti della Lega («si conferma che le offerte di mediazione della Lega sono solo una trappola e che Salvini non è un interlocutore credibile») ma non sembrano più avere fretta. «Andiamo a settembre» rassicura una senatrice Pd.

L’unica suspence di giornata riguarda il “non passaggio agli articoli” (art.93 del regolamento) che potrebbe essere votato su richiesta di Fratelli d’Italia e Lega anche a voto segreto alla fine della discussione generale (sono state fissate sei ore). Ma alle 18 è ormai chiaro che con 35 senatori iscritti a parlare e i lavori d’aula fino alle 20, la fine della discussione generale e il primo voto segreto sul ddl Zan saranno sicuramente a settembre. In piena campagna elettorale per le amministrative, appunto, quando sarà riproposto il muro contro muro e la mediazione messa sul tavolo dagli otto emendamenti di Iv e Autonomie. «Se si dialoga, la Lega è pronta a ritirare gran parte degli emendamenti presentati al ddl Zan (resterebbero solo i 20, mirati, di Calderoli) – ha rilanciato Romeo – Se invece il Pd continuerà a volere lo scontro, affosserà la legge e la tutela dei diritti di migliaia di persone».

In realtà il Pd mette sul tavolo un ordine del giorno per avere «maggiore chiarezza interpretativa sull’intero provvedimento e da votare prima dell’esame degli emendamenti». Rispetto ai contenuti dell’articolo 1, ad esempio, «non può mai essere il solo elemento volontaristico a determinare la rettificazione di attribuzione di sesso bensì un percorso di accertamento rigoroso svolto in sede giudiziale». Rispetto ai contenuti dell’articolo 4, che «va sempre garantita la tutela delle libere manifestazioni di pensiero». In relazione all’articolo 7, l’ordine del giorno chiarirà che «vanno promosse disposizioni finalizzate non a sostenere pensieri o azioni ispirati ad ideologie, ma a trasmettere la conoscenza e la consapevolezza riguardo i diritti e i doveri costituzionalmente garantiti della persona» Sugli stessi punti, e con analoghe correzioni, Iv e Autonomie vogliono intervenire facendo però vere e proprie modifiche al testo. «Prima dell’estate e prima che cali l’attenzione» avverte Faraone.

La novità è che anche il Pd ora riconosce che alcuni passaggi devono essere chiariti e messi al riparo da libere interpretazioni. Se il ddl Zan scivola nelle sabbie mobili estive, il Movimento invece arma lo scontro, uno contro tutti, sulla riforma della giustizia penale con 917 emendamenti, la maggior parte sull’articolo 14 della prescrizione. Non erano questi gli accordi presi lunedì nel faccia a faccia Conte-Draghi. E l’arma della fiducia, dopo qualche aggiustamento, sembra sempre di più il destino della riforma Cartabia.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.