Lo si può capire soltanto tuffandosi in apnea in Internet, vogando e vagando fra i social da cui le parole tracimano e dilagano. C’è stata la riunione dei Brics a Johannesburg in Sudafrica che non ha soltanto riacceso rancori anticolonialisti, rinvigoriti dalla ricorrente tentazione di schierarsi contro l’Occidente. Ma si vede molto di più sul display ed è un grandioso tentativo di contaminare di identità, benché siano mille e per lo più nemiche. Eppure, in forma popolare e non burocratica, nasce su internet un sogno-spettacolo: l’illusione di un comune grandioso sforzo interrazziale.

Ecco, una altera ragazza zulu che dice: “Noi africani non abbiamo case. Non ci servono. Noi africani abitiamo le nostre tane in mezzo alla savana dove dormiamo con i leoni e le zebre perché non siamo persone, ma paesaggio per le vostre favole”.
Dopo un’ora di spettacolo di questi video, viene il sospetto che questi oratori e oratrici sia in abiti occidentali che in costumi tradizionali, vengano dalle università francesi o da Oxford o Harvard. È un’Africa che discute con rabbia degli errori africani, non soltanto delle colpe coloniali, ormai in sostituiti da russi e cinesi. Ma lo fa con un salto culturale e comunicativo che soltanto la grande rete ha reso visibile.

In massa, detestano la Francia, la moneta francese, la lingua francese di cui hanno un dominio letterario ed espressivo formidabile. Ma l’avevano anche algerini e tunisini, che se ne sono liberati. Ecco in tuta rossa Julio Melena che chiama alla guerra contro la francofonia: “Non esiste Francia senza l’Africa. Il giorno in cui l’Africa si sarà liberata dalla Francia, la Francia collasserà perché tutto ciò che è francese viene dall’Africa. Applaudiamo l’idea di un’Africa unita per i nostri figli e i figli dei nostri figli”. Ma chi si sente più a suo agio indossando giacca e cravatta attacca il mito dell’Africa sempre innocente e calpestata: “Fare una grande Africa unita? Ecco un sogno che non ha senso se manca l’idea di chi siamo e che cosa vogliamo – grida un comiziante di Johannesburg.

Ecco le folle del Niger che inalberano cartelli contro i golpisti in uniforme mentre decollano giganteschi caccia supersonici, mentre la telecamera riprende un bambino dall’espressione attonita e ridotto letteralmente all’osso, che bruca avanzi offerti da visitatori di uno zoo disumano a cielo aperto.

A centinaia si accalcano su Tik-Tok e Instagram, tutti con tono eccitato, esaltato dalla fortunata disgrazia sia di nascere africani m pronti a prendere il controllo di sé stessi. Vanno in scena parodie della disgrazia, come il balletto in cui si spiega che gli africani in America ci sono andati di loto volontà, benché la nave fosse affondata, benché nono n ci fosse più acqua da bere, ma nuotando e nuotando finché non sono approdati sullo scoglio che regge la verdastra Miss Liberty, Manhattan, New York.
La forza di gridare via Internet è stata sicuramente eccitata dal summit di Johannesburg. Ma con molta insofferenza per lei russi della Wagner e degli infaticabili omini cinesi che costruiscono ovunque e indebitano chiunque.

Non è l’inizio di alcuna rivoluzione, ma una grande prova di interconnessione in diretta, con l’evidente problema rappresentato dalla lingua: gli africani raramente parlano le loro lingue ma usano venti tonalità di inglese e altrettante di francese, le due madrelingua degli oppressori che fanno però anche da modello e che non possono essere estirpate dalla memoria. È un dato di fatto che le nazioni africane hanno acquistato identità e reclamano che l’Africa vada agli africani a condizione che sappiano vincere i propri demoni. A dirlo sono proprio loro, i protagonisti, le donne che mostrano un coraggio insospettate inaspettato. L’idea di un’Africa unita che sembrerebbe elementare, appare come un obiettivo possibile ma reale e non più mitico, visto che l’idea è comunque partita, e per la prima volta, usando Internet come vascello.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.