Insinuatosi nel cuore del dibattito pubblico, prima, e nella plancia di comando della produzione normativa, poi, il politicamente corretto è ormai un convitato di pietra che, simile a un veleno, si autoalimenta. Fantasmatico, evanescente, ha avuto buon gioco, un po’ come il diavolo, perché ha convinto molte persone della sua non-esistenza e della sua non pericolosità. Potendo così autoreplicarsi, con le sue metastasi, la sua neo-lingua, la sua mediocrità, la sua debolezza corrotta e impestando libri, politica, accademia, mondo intellettuale, istituzioni scolastiche.

Brodo di cultura

Epitome assoluta di un’epoca in cui, per citare Shakespeare, la virtù chiede in ginocchio al vizio il permesso di fargli del bene.C’è un aspetto in particolare che ha permesso al politicamente corretto, che a ben vedere meglio dovrebbe essere declinato come “politicamente corrotto” vista la sua totale povertà intellettiva, di espandersi oltre il limite di guardia: la sua espansività in nome di una metodica in apparenza senza costo alcuno. Araldicamente sbandierato come pensiero di tutela e di difesa di minoranze oppresse, assiologicamente issatosi sul piedistallo della giustizia sociale, il politicamente corretto si è spacciato come brodo di coltura capace di apportare miglioramenti, nuovi diritti, giustizia e libertà, senza nulla togliere agli altri.

“A te cosa toglie?” è divenuto lo sbilenco, patetico e falso slogan che accompagna il postal market dei nuovi diritti, alle cui spalle avanzano le orde censorie e perennemente indignate le cui polemiche leggiamo ogni giorno ormai sulla stampa o sui siti internet.

Diritto e ordinamento

A te cosa toglie, chiedono con lampada ad alzo zero sparata in faccia come in un interrogatorio della DDR, se si vuole cesellare un qualche diritto che consenta alla gente di identificarsi sessualmente con un opossum? Toglie, in realtà. E molto. Perché nel momento stesso in cui si postula un diritto, per tale intendendo un vero diritto e non un mero slogan, si evoca il suo bilanciamento con altre situazioni, interessi e punti di vista: non esiste alcun diritto che possa incunearsi in un ordinamento senza entrare in conflitto simmetrico, nella sua concreta applicazione, con diritti e libertà altrui. In particolare, nella sua enfasi di moralizzazione dei costumi e di eticizzazione della società tutta, il politicamente corretto pretende la sponda coercitiva statale, o di chi comunque si abbevera al capezzolo statale, per imporre la propria agenda.

Il dibattito accademico ovattato

Forse conscio della propria malafede e della propria scarsa sostanza, il politicamente corretto ha bisogno di ottenere sanzioni, punizioni, divieti, rieducazione.
Per conferma, chiedere agli studenti sospesi per aver osato fare del sarcasmo sul bagno non-binario escogitato dalla Bocconi. O al professor Luigi Marco Bassani, sospeso dall’Università Statale di Milano per aver, mesi fa, pubblicato un meme su Kamala Harris. Ed è così che il linguaggio viene modificato per legge o per circolare amministrativa, o peggio per paura di sanzione, alcuni termini sono espunti o criminalizzati, i film riscritti, le opere d’arte relegate ai metaforici e meno metaforici scantinati della storia, il dibattito accademico ovattato.

Nemici assoluti della libertà

Non appare peregrino ricordare come meritoriamente Javier Milei abbia impedito alle amministrazioni di perdere tempo dietro schwa, linguaggio ‘inclusivo’ e altri contorsionismi del tutto inutili: immaginiamo, e in Italia non dovremmo fare fatica, uffici pubblici patentemente disfunzionali che consumano tempo, energia e risorse per stabilire come rivolgersi ai destinatari di un atto amministrativo, tra amletici dubbi su asterischi e pronomi neutri. Il politicamente corretto toglie. Molto. Simile alla pericolosità della ‘tirannia dei valori’, affrescata da Carl Schmitt, la tirannia del politicamente corretto, in apparenza suadente e serpentina, dai colori sgargianti e dall’ampio sorriso, snuda però le proprie oscene fauci promettendo un mondo del tutto anodino, grigio, piatto, privo di qualunque forma di asperità e complessità, popolato da automi propensi alla delazione e alla perenne necessità di incasellarsi in qualche categoria. Nemici assoluti della libertà.