Il retroscena
Lamorgese al capolinea, Conte prepara il rimpasto e un nome nuovo per il Viminale
Quella del Viminale è una casella “in gioco”. Nell’ottica di un rimpasto post regionali che tutti smentiscono ma di cui tutti parlano, è uno dei ministeri di prestigio intorno a cui ricostruire un Conte 3. O un esecutivo nuovo. Dipenderà del voto, quante regioni andranno al centrodestra, e dall’esito del referendum sul taglio dei parlamentari, forse l’unica amara bandiera che i 5 Stelle potranno issare. Troppi indizi, da un paio di mesi a questa parte, raccontano di una ministra, il prefetto Luciana Lamorgese, lasciata sola a sbrigare uno dei dossier più scomodi di sempre, quello dei migranti a cui adesso si è aggiunta l’aggravante dell’emergenza sanitaria. E troppi spifferi, per quanto sempre smentiti anche dai diretti interessati, vedi il segretario dem Nicola Zingaretti, sono stati fatti circolare per far sapere che sì, dai, al Viminale potrebbe andarci tizio, caio o Sempronio. A seconda degli equilibri della coalizione. Da ultimo, è clamoroso il silenzio con cui il premier Conte accompagna il braccio di ferro in corso in queste ore tra il Viminale e la Regione Sicilia. Che poi è un braccio di ferro con il governo centrale e la Costituzione. Ma a ben vedere, quella del ministro dell’Interno è una poltrona troppo difficile per essere veramente ambita. Spiega una fonte che ha avuto nel recente passato un incarico chiave al primo piano del Viminale, dove si trovano gli uffici del ministro: “Ma ti pare che in queste condizioni, con il mix Covid, migranti e assenza di norme per l’accoglienza – perché questo è la criticità di cui nessuno parla – chiunque, anche il più ambizioso, voglia prendersi questo incarico? Nemmeno se lo vedo. Un politico puro, se vuole entrare al governo può ambire ad altri incarichi, la Scuola, il Lavoro, le Infrastrutture per restare alle caselle che ballano, ma mai rischierà di bruciarsi al Viminale. Se invece si vuole cambiare un tecnico con un tecnico, allora tanto vale lasciare Luciana Lamorgese che sta facendo in silenzio il meglio che può fare nelle condizioni date”.
Perché sono “le condizioni date” quelle che fanno la differenza. A cominciare dal fatto che tra il premier e il prefetto i rapporti si sono fatti, negli ultimi mesi, molto tesi. Dall’emergenza sanitaria con i 2800 agenti e carabinieri spostati dal Viminale il 4 marzo in val Seriana per una chiusura che poi non c’è mai stata (quella di Nembro e Alzano) alla richiesta di caserme per gestire in sicurezza la quarantena dei migranti che sono continuati a sbarcare a decine ogni giorno su barchini invisibili fino al decreto Immigrazione, riscrittura dei due decreti sicurezza/Salvini che darebbe finalmente qualche strumento per gestire un’accoglienza che è stata smembrata, da due mesi in attesa di essere portato in Consiglio dei ministri: ecco, si può dire che poco o nulla sta funzionando tra Luciana e Giuseppe. Per tacere di tutta la gestione Covid con il Viminale chiamato a mettere pezze a Dpcm annunciati e poi firmati 48 ore dopo.
Il caso Sicilia è la cartina di tornasole di un amore tra i due mai sbocciato. La contabilità degli sbarchi segna un + 148% nei primi mesi dell’anno sullo stesso periodo del 2019: 21618 contro gli 8691 dell’anno scorso. Ventimila che però sono una goccia rispetto ai 130-180 mila che sono stati la media dal 2013 al 2017. Alla guerra in Libia si è aggiunta la crisi politico-economica in Tunisia dove il crollo del turismo spinge alla fuga in Europa migliaia di persone. I flussi in partenza di questi mesi sono equamente divisi tra la Libia e la Tunisia. Con la differenza che le navi delle Ong hanno portato sì e no cinquemila migranti. Tutti gli altri arrivano a bordo di barchini che non vengono intercettati da nessun radar finché non toccano gli scogli di Lampedusa. Il fenomeno era già comparso durante la gestione Salvini (concentrata sulla chiusura dei porti alle navi delle Ong).
Il Viminale della gestione Lamorgese ha dunque un problema in più. Aggravato dal fatto che gli sbarchi, ripresi in modo massiccio con la fine del lockdown, adesso devono prevedere anche la quarantena obbligatoria per chi arriva. A fine maggio il problema era servito con tutta evidenza sul piatto del governo: come garantiamo le quarantene? “Servono caserme o altri luoghi analoghi” è stata la richiesta del Viminale. Che però non ha avuto la forza di bucare la fitta agenda di governo impegnato sui dossier economici e sugli scostamenti di bilancio. Qua le cose o si programmano per tempo oppure è difficile, quasi impossibile recuperare. Ieri il sindaco di Tolmezzo ha negato l’uso di una caserma (che non dipende dal comune) per gestire la quarantena dei flussi migratori via terra dai Balcani che sono più contagiati di quelli che arrivano dall’Africa. Nelle ultime tre settimane sono state affittate due navi quarantena che stazionano al largo della Sicilia il tempo necessario. E poi riportano a terra i migranti “sicuri”. È qualcosa ma non basta.
Tutto questo ha creato l’affollamento degli hot spot siciliani. Oggi ospitano duemila persone di fronte ad una capienza prevista di 1300 posti. La crisi più evidente è a Lampedusa: 1200 persone per duecento posti. Dall’inizio di luglio sono state trasferite dall’isola tremila migranti. È la prova empirica che il Viminale non è stato con le mani in mano. La nave-quarantena Aurelia doveva portare via 400 persone da Lampedusa. Il meteo non lo ha consentito. Ci riproverà tra oggi e domani. L’altra nave, Azzurra, ha sbarcato a Trapani proprio ieri seicento migranti post quarantena. Il sindaco, che è del Pd, ha chiesto al governo di “rimpatriare subito i circa 400 migranti economici tunisini che non hanno diritto a restare in Italia”. Vero. Giusto. Ma i rimpatri sono attualmente possibili per 80 persone a settimana. Sono più di seimila dall’inizio dell’anno. Il ministro dell’Interno sta lavorando, si spiega dal Viminale, “ad un rimpatrio massiccio via nave” 5-600 persone per volta. Simbolicamente e mediaticamente un’operazione di peso.
Ecco perché l’ordinanza del governatore Musumeci – “sgombero e chiudo tuti gli hotspot per questioni sanitarie” – oltre che illegittima è stata provocatoria e strumentale. Una manovra politica che ha fornito il destro a Salvini di cavalcare ancora un po’ l’onda del binomio migranti/Sicurezza. Il governatore non può sgomberare né chiudere nulla. È compito dei prefetti che rispondono al ministro e al governo. Musumeci dice che si rivolgerà ai giudici. Vedremo. Diversi per contenuti, motivazioni e toni gli appelli del sindaco di Lampedusa.
Resta il fatto che in questi giorni difficili in cui la ministra Lamorgese è stata attaccata da tutti i leader della destra, non un fiato si è alzato da palazzo Chigi. Salvini l’ha definita in TV “una criminale”. E il governo “incapace di tutelare la salute dei cittadini” rischia una denuncia per “epidemia colposa”. Ieri Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva al Senato, ha denunciato Salvini e Musumeci per “procurato allarme” e “diffamazione”. Neppure il Pd, va detto, ha speso qualche parola in appoggio alla ministra. “Sono un tecnico non un politico” è il suo mantra. E il suo vanto. La solitudine del Viminale è una sensazione che hanno provato già altri prima di lei. Lamorgese ha un supporter che vale tutti gli altri, il Quirinale. Dice: “Lavoriamo, andiamo avanti”. La sua poltrona fa gola. Ma tutto sommato, anche no.
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