La via dell'escalation verbale
Landini vuol far piangere Musk, ma è il segretario Cgil a far piangere noi: così il sindacato rischia di approdare nei porti insicuri del populismo

“Quando lei mi dice che il patrimonio di Musk è di 428 miliardi di dollari, io non riesco nemmeno a capire cosa significa […], e mi chiedo: ma una singola persona, con tutti quei soldi lì, che cazzo se ne fa? E aggiungo una cosa che può apparire ancora più folle: io penso che siamo arrivati al punto in cui bisognerebbe mettere un tetto alla ricchezza, perché siamo alla follia”. Così [testuale] Maurizio Landini, ospite sabato scorso di Accordi&Disaccordi, il talk in onda su Nove condotto da Luca Sommi.
Nell’intervista ha ribadito la necessità di una “rivolta sociale” contro le disuguaglianze che devastano il nostro paese, ricordando di aver regalato per questo alla premier “L’uomo rivolta” di Albert Camus. Il segretario della Cgil, invece, ha omesso curiosamente di menzionare quanto affermato alla vigilia dello sciopero generale del 29 novembre passato, e cioè che [testuale] “il governo non ha la maggioranza del paese, e che il sindacato rappresenta tutti i lavoratori e i pensionati”. Ma proviamo a chiosare il Landini-pensiero.
“Occorre mettere un tetto alla ricchezza”: quale, come, chi lo decide? Musk ha alcune centinaia di migliaia di dipendenti in tutto il mondo. Facciamolo pure “piangere”: paralisi degli investimenti, chiusura delle fabbriche, licenziamenti massicci, blocco dell’innovazione tecnologica. Inoltre, lo facciamo piangere con l’esproprio proletario, nazionalizzando le sue industrie, tassandolo con aliquote stratosferiche? Infine, lo decide il sindacato, il Parlamento, il governo, il presidente della Repubblica, il papa? Mi pare difficile, negli Usa, in Italia e in qualunque paese democratico.
“C’è bisogno di una rivolta sociale”: qualunque cosa essa significhi, non ci azzecca nulla con Albert Camus. Certo, può anche capitare che un sindacalista legga tra un comizio e l’altro “L’Homme révolté”, ma poi confonda la rivolta “metafisica” del filosofo francese contro l’assurdità dell’esistenza con le “Réflexions sur la violence” di Georges Sorel. Di quel Camus che peraltro scrive proprio nel suo testo mal compreso: “Alla fine, ho scelto la libertà. Infatti, anche se la giustizia non si realizza, la libertà mantiene il potere di protestare contro l’ingiustizia”.
“Il governo non ha la maggioranza del paese”: qui, più che di fronte a un testo non capito, ci troviamo di fronte a un testo non letto, quello della nostra Costituzione. Secondo un certo analfabetismo costituzionale, appunto, il governo Meloni non rappresenterebbe la maggioranza del paese perché il centrodestra ha ricevuto alle elezioni circa il 44 per cento dei voti (12,3 milioni), per giunta con un’affluenza del 64 per cento (29,4 milioni). Se si considera l’intero corpo elettorale (46 milioni), il centrodestra ha quindi il consenso di appena il 27 per cento degli elettori. Il ragionamento è ovviamente privo di senso, perché la Costituzione attribuisce il potere esecutivo al governo e quello legislativo alle Camere a prescindere dall’affluenza, tant’è che “ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione”. Insomma, si tratta di una tesi che nega i principi basilari di una democrazia parlamentare.
“Il sindacato rappresenta tutti i lavoratori e i pensionati”: qui devo supporre che Landini si riferisca alla prima e alla terza (la Uil) delle confederazioni maggiori, ovvero al “sindacato del conflitto sociale”, perché – come è noto – la Cisl ha preso da tempo una strada diversa, quella del “sindacato della partecipazione”. Ebbene, gli iscritti alla Cgil sono poco più di cinque milioni, di cui due milioni e 700mila attivi e due milioni e 400mila pensionati. Gli iscritti alla Uil sono invece circa due milioni, di cui un milione e 450mila attivi e 550 mila pensionati.
Vuol dire che i lavoratori iscritti alle due confederazioni sono circa quattro milioni e 150mila. Su un totale di circa ventiquattro milioni di occupati, costituiscono circa il 17 per cento dei lavoratori che hanno un impiego. Per altro verso, i pensionati iscritti sono circa tre milioni. Su un totale di oltre sedici milioni, ne rappresentano poco più del 18 per cento.
Morale della favola: quando un sindacato sceglie la via dell’escalation verbale, e quando trascura il suo nobile mestiere di civilizzatore del lavoro per avventurarsi nei mari tempestosi della politica, rischia di perdere la rotta e di approdare nei porti insicuri di un populismo con venature plebiscitarie.
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