Quando una comunità di esseri umani – si tratti di un’associazione, di un partito politico o di un sindacato (al pari di una nazione sottoposta a un regime totalitario/dittatoriale) – è asservita a un capo, arriva prima o poi l’ordine di mentire. Prendiamo un caso che ha fatto molto discutere nel corso della XVI legislatura (2008-2013), quella che iniziò con il successo e terminò con la sconfitta del berlusconismo: il cosiddetto Rubygate. La sera del 27 maggio 2010 una ragazza di origine marocchina, che si faceva chiamare Ruby, fu riconosciuta e segnalata alla polizia di Stato perché accusata del furto di una somma pari a 3.000 euro. Gli agenti della volante effettuarono gli accertamenti del caso, la identificarono come Karima El Mahroug, una ragazza minorenne fuggita nel maggio del 2009 da una casa di comunità in Sicilia; decisero quindi di contattare il pubblico ministero del Tribunale dei minori, che ne dispose il collocamento in una comunità per la mattina seguente; nel frattempo venne trattenuta in Questura.

La scena – in quella notte come tante altre, ma destinata a passare alla storia – si spostò a Parigi, dove alle 23,45 dall’aeroporto di Parigi il premier Silvio Berlusconi, di ritorno da una riunione dell’OCSE, telefonò in Questura a Milano chiedendo di rilasciare la ragazza fermata e di affidarla a Nicole Minetti (da lui stesso avvertita e incaricata) per evitare problemi diplomatici, essendo quella ragazza la possibile nipote del presidente egiziano Hosni Mubarak. La vicenda – assai poco edificante e palesemente inverosimile – finì sulla stampa e percorse in poche ore il giro del mondo. La Procura di Milano non perse l’occasione. Il 21 dicembre 2010 Berlusconi venne indagato per concussione in quanto, secondo l’accusa, aveva abusato della sua “qualità” di presidente del Consiglio per esercitare un’indebita pressione sui funzionari della Questura di Milano per il rilascio di Ruby, al fine di coprire il più grave reato di prostituzione minorile.

Bisognava salvare il Cav da sé stesso, in primo luogo sottraendolo dalle grinfie della Procura meneghina. Così il 5 aprile 2011 (i tempi diventarono lunghi) la Camera votò a favore della richiesta – presentata dalla maggioranza – di sollevare un conflitto di attribuzione tra i poteri dello Stato davanti alla Corte costituzionale nei confronti del premier Berlusconi, asserendo che il reato di concussione era di competenza del Tribunale dei ministri, in quanto il Cavaliere aveva agito nelle sue funzioni di premier per far rilasciare la presunta nipote di Mubarak dalla Questura di Milano al fine di evitare così un possibile incidente diplomatico con l’Egitto.

Il 14 settembre 2011 anche il Senato approvò il medesimo conflitto di attribuzione. Dei 314 deputati vennero pubblicati nomi e cognomi e furono accusati, con qualche forzatura ma non a torto, di aver votato – coprendosi di ridicolo per la palese malafede – che Ruby fosse davvero nipote di Mubarak o che almeno Berlusconi credeva che lo fosse. Il 14 febbraio 2012 la Corte costituzionale rigettò le richieste di Camera e Senato.

Un caso analogo – mutatis mutandis – è accaduto nei giorni scorsi all’interno di una grande organizzazione sindacale, la Cgil, a difesa del suo padre/padrone Maurizio Landini. L’Assemblea nazionale nel documento conclusivo ha denunciato che “il forsennato attacco alla Cgil si concentra sul segretario generale Maurizio Landini attraverso falsità e diffamazioni”. In “soccorso rosso” del segretario è intervenuto anche Fausto Bertinotti, l’unico pontefice sindacale emerito sopravvissuto: “Maurizio Landini fa bene il suo mestiere e vorrei che fosse meno sottoposto a un linciaggio mediatico come quello che ha subìto in queste settimane”. In sostanza (e non è la prima volta che accade) una comunità di persone pensanti e di esperti sindacalisti ha condiviso che in Italia è necessaria una “rivolta sociale” e che sono sufficienti 500mila (?) lavoratori e pensionati nelle piazze per delegittimare un Parlamento eletto dal popolo sovrano (sia pure con tanto astensionismo). Ma anche Landini non sarà per caso nipote di Mubarak?