La foto di gruppo è eloquente: sorride Giorgia, sorride Ursula, “cara Giorgia”, “cara Ursula”, il sapore di una piadina calda e ancora filante, evocata da entrambe, fa il resto. Le parole esplicitano i “grazie”, i “complimenti”, le promesse e gli impegni: un miliardo e 200 milioni sono in arrivo nelle zone alluvionate nel maggio 2023, somme aggiuntive ai circa tre miliardi già stanziati. Ma ancora più espliciti, in questa giornata di quasi amorosi sensi e reciproci complimenti tra Ursula von der Leyen e Giorgia Meloni, sono l’ora abbondante a colloquio e i messaggi scritti successivi. Come quello postato su X dalla presidente della Commissione europea una volta conclusa la visita in Romagna, a Forlì e nelle zone alluvionate. “Incontro molto costruttivo con Giorgia Meloni. Abbiamo discusso del prossimo Consiglio europeo e della Presidenza italiana del G7. La nostra buona collaborazione ha portato alla revisione positiva del piano Next Generation Eu con 1,2 miliardi di euro di investimenti per prevenire le inondazioni. Non vedo l’ora di continuare a lavorare insieme”. Ecco appunto: lavorare insieme. In Europa? E con quali alleanze? Fratelli d’Italia, o meglio il gruppo dei Conservatori, avranno il commissario di peso che chiedono? Quale prezzo, cioè compromesso, Meloni è disposta ad accettare pur di riuscire a dare le carte anche a Bruxelles? Mario Draghi presidente del Consiglio europeo è un’opzione possibile? Di sicuro è auspicata da molti, in Europa e in Italia. Non da Schlein né da Salvini. Certamente da un pezzo di Pd, + Europa, Italia viva e Azione.

Le proiezioni

Altro che regionali, caso Sardegna e lodo Molise. Nell’agenda politica di Giorgia Meloni c’è molta politica estera e tanta Europa: questo fine settimana sarà in Turchia con gli occhi sul Medioriente e sul Mar Rosso dove gli Houthi continuano ad attaccare i mercantili; il prossimo fine settimana sarà padrona di casa del vertice africano (28 gennaio), due giorni dopo volerà a Bruxelles per un Consiglio informale europeo e un vertice Nato. Poi in Giappone (3-6 febbraio), per il passaggio di consegne della presidenza del G7. Giorgia Meloni tornerà disponibile a palazzo Chigi non prima del 10 febbraio. Da qui ad allora non può perdere tempo su dossier che, lato suo, sono già decisi. Anche se non condivisi. Piuttosto quello che arrovella la premier è la strategia di FdI in Europa. Gli ultimi sondaggi risalgono al 14 gennaio (Euractiv). Le proiezioni dei seggi assegnano 178 seggi ai Popolari, 143 ai Socialisti e democratici, 93 a Identità e democrazia, cioè Salvini-Le Pen-Afd e amici nazionalisti in rimonta rispetto ai Conservatori (80 seggi) la famiglia politica di cui Meloni è presidente. I liberali, Renew Europa sono a 84. Cinquanta seggi i verdi e 37 la Sinistra. Per avere una comoda maggioranza servono 370-380 voti (totale 705 seggi).

Al momento, quindi la maggioranza Ursula (Ppe, socialisti, liberali) potrebbe contare su 405 voti. Una buona e comoda maggioranza. Ma non è un mistero che Ursula von der Leyen voglia i Conservatori con i Popolari. Anche perché non può fare a meno di avere dalla sua quello che si candida ad essere il più votato partito italiano, paese fondatore dell’Unione. “Non vedo l’ora di continuare a lavorare insieme”, scrive la von der Leyen. Come se sapesse già come. Come se ne avessero parlato proprio ieri. Il punto è come. I più centristi tra gli eletti di Fratelli d’Italia vedono “probabile” l’alleanza con i Popolari. “Non vi dovete scordare che noi eravamo già nei Popolari, Fidanza e Scurria ne uscirono quando nacque Fratelli d’Italia per dare una casa al gruppo. Ma noi eravamo già lì”, ragiona a voce alta un deputato senior di FdI. “Vediamo – continua – se Giorgia riesce a far entrare i voti di Fidesz, il partito di Orban che è uscito dal Ppe. A quel punto i Conservatori avranno più seggi di Id e anche i numeri per una eventuale maggioranza con Popolari e Liberali potrebbero essere più certi”. Ma non sufficienti, si fa notare. “Abbiamo già votato l’appoggio esterno alla maggioranza Ursula, è successo nel 2019, lo fece il Pis polacco”, aggiunge in chiave problematica un deputato junior, molto vicino a Meloni, rappresentante però “di una destra moderna ed europea”. Se è vero, aggiunge, che “non si può giocare a briscola con le regole del poker” e che quindi il compromesso è necessario se vuoi incidere, è anche vero che “è quasi impossibile che noi si possa entrare in una maggioranza con il gruppo dei Socialisti e dei democratici, famiglia politica che dubito Ursula von der Leyen possa voler lasciare fuori dalla Commissione”.

La soluzione

Scenari complicati. Che Ursula von der Leyen è convinta di poter risolvere. In nome dell’unità europea e della necessità di un suo rafforzamento nel nuovo mondo che verrà dopo le elezioni Usa, a margine delle guerre in Medioriente e in Ucraina e delle tensioni in Sudamerica e tra Cina e Taiwan. “Non vedo l’ora di lavorare insieme”, appunto. Una cosa è certa: Meloni vuole fare “molto bene” alle Europee, vuole avere un commissario di peso (si parla di Fitto ma anche Crosetto sarebbe in pole) e vuole poter incidere nelle decisioni che dovranno essere prese, a livello di regole di bilancio, sull’immigrazione e sulla difesa comune. La scelta se candidarsi o meno è legata non tanto al timore di umiliare i suoi alleati – Salvini e Tajani – ma alla necessità di diventare imprescindibile o quasi grazie al suo personale successo elettorale. A quel punto sarebbe fatale un ulteriore passaggio: FdI diventa azionista del Partito Popolare al posto di Forza Italia andando ad occupare una posizione più centrista; la Lega viene schiacciata a destra dove del resto Salvini la vuole portare candidando Vannacci. Sembrano scenari del terzo tipo. Ma sono il presente della premier.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.