Il suo scatto dei due innamorati che si baciano appassionatamente è una delle più iconiche della storia della fotografia. L’immagine naturalmente non poteva mancare nella grande retrospettiva dedicata al celebre fotografo francese Robert Doisneau allestita al Palazzo della Gran Guardia di Verona fino al 14 febbraio 2024. “Le Baiser de l’Hôtel de Ville”, è il titolo della foto, scattata nel 1950 a Parigi ed esposta tra oltre 130 foto in bianco e nero provenienti dalla collezione dell’Atelier Robert Doisneau, a raccontare lo stile unico ed elegante dell’artista dell’obiettivo scomparso nel 1994. Ideata da Gabriel Bauret, a sua volta fotografo ma ora consacrato alla critica e alla curatela, la mostra indaga il modo di vedere il mondo di Doisneau: «Quello che cercavo di mostrare era un mondo dove mi sarei sentito bene, dove le persone sarebbero state gentili, dove avrei trovato la tenerezza che speravo di ricevere. Le mie foto erano come una prova che questo mondo può esistere».

La potenza delle immagini

Forse anche per questo i suoi scatti sono entrati a far parte dell’immaginario collettivo mondiale: per questa sua capacità di rappresentare l’umanità migliore, di credere nel lato positivo delle cose. La giocosità e l’innocenza dei bambini, l’amore lirico, il lavoro quotidiano di persone semplici assurgono dietro al suo obiettivo ad assoluti, idee platoniche di perfezione, incidendo nella storia dell’iconografia umana tracce indelebili. Lo scatto dei due giovani che si baciano è una sorta di eccezione al metodo di lavoro di Doisneau, che solitamente, da fotogiornalista abituato sul campo, sapeva afferrare la realtà con tempismo perfetto: in questo caso invece non si trattò di un’immagine rubata sul momento, ma di un preciso set up voluto dal fotografo che dopo aver visto i due baciarsi chiese loro di posare per lui, per un servizio che stava realizzando per il periodico americano Life. Ciò non toglie niente alla potenza di questa immagine, che ha fatto breccia nel panorama visivo contemporaneo per come riesce a esprimere con delicatezza, quasi come in una danza, la vicinanza di due persone appassionate.

Il Mondo a Venezia

Sempre in Veneto, ma stavolta nel capoluogo, è l’esposizione “Il Mondo e Venezia. 1936-56” dedicata a un altro grande dell’obiettivo, David “Chim” Seymour, tra i fondatori dell’agenzia Magnum Photos: una selezione di 150 suoi lavori, oltre a un’ulteriore cinquantina di pezzi tra documenti, lettere e riviste d’epoca, è allestita al museo di Palazzo Grimani fino al 17 marzo 2024. Anche in questo caso si parla di una leggenda della fotografia: Seymour, noto anche con lo pseudonimo Chim abbreviazione del suo cognome, ha scattato alcune tra le immagini più importanti del fotogiornalismo internazionale, come quelle dei reportage sulla Francia del 1936 o il progetto del 1948 intitolato “Children of War”, commissionato dall’UNICEF e dedicato agli orfani di guerra. Una sezione delle immagini in mostra è dedicata ai ritratti di personaggi celebri: Maria Callas al pianoforte, Gina Lollobrigida con lo sguardo sognante, una virginale, giovanissima Audrey Hepburn, ma anche papa Paolo VI prima di salire al soglio pontificio.

Il ruolo della valigia

Accanto a questi nomi di spicco, le immagini di persone comuni, di gesti semplici, di ragazze che sorridono e perfino di piccioni, che a Venezia sono cittadini e simbolo, dimostrano come la cura di Chim nel guardare e creare le proprie fotografie non differisca a seconda del soggetto ma centri sempre la perfezione emotiva ed estetica. Tra i documenti che completano la narrazione del fotografo sono esposti alcuni documenti dedicati alla “Maleta Mexicana”, una valigia contenente 4.500 negativi di Seymour e dei colleghi Robert Capa e Gerda Taro che i tre, fuggiti per non essere catturati perché di religione ebraica o dissidenti con l’invasione di Parigi da parte dell’esercito tedesco nel 1939, avevano spedito in Messico e che sembrava perduta. Rocambolescamente ritrovata nel 1995, la valigia ha consentito di approfondire diversi aspetti della Guerra Civile spagnola grazie agli scatti che conteneva, la cui sezione relativa al lavoro di Seymour è ora in parte ammirabile in mostra.