L’ultimo getto d’acqua gelata l’ha dovuto lanciare ieri pomeriggio. Mentre tornava in un ufficio a palazzo Chigi dalla pausa pranzo ha trovato i giornalisti sotto al portone ed ha acceso l’idrante direttamente sulla scrivania del ministro della Giustizia, il suo collega Carlo Nordio. Rivedere il reato di concorso esterno in associazione mafiosa? “Io affronterei i problemi determinati dalla giurisprudenza dell’oggi” ha precisato il sottosegretario alla Presidenza del consiglio Alfredo Mantovano e “andrei, invece, nella direzione di rendere sempre più chiara e incontrovertibile la materia del contrasto alla criminalità mafiosa. Eviterei, insomma, di aprire altri discorsi”. Punto, fine.

Finisce così la fuga in avanti del ministro Guardasigilli che parlando a “Piazza Italia”, la festa politica di Fratelli d’Italia, aveva acceso un altro incendio nel territorio periglioso della giustizia.
Non è chiaro se Alfredo Mantovano – che prima di essere chiamato a palazzo Chigi era giudice in Cassazione – fosse a conoscenza o avesse letto o magari anche scritto l’ormai famosa “nota di fonti di palazzo Chigi” che ha scatenato il nuovo conflitto con le toghe. Una cosa è certa: dal 7 luglio il sottosegretario ha indossato gli scomodi ma anche nobili panni del pompiere. Quello che lima, corregge, suggerisce marce indietro anche se poi non vengono così bene come quella tentata dalla premier Meloni nella conferenza stampa di Vilnius.

Il Presidente della Repubblica e il sottosegretario alla Presidenza, Sergio Mattarella e Alfredo Mantovano: per questioni generazionali oltre che per formazione giuridica, i due hanno l’obiettivo di disinnescare, prima che scappi di mano, la riedizione non prevista del decennale scontro politica-magistratura. Mattarella era in America Latina la scorsa settimana quando è scoppiato il triplo putiferio Santanchè-Delmastro-La Russa, mentre la ministra giurava in aula di non essere indagata e invece lo è per falso in bilancio e bancarotta, mentre un gip decideva legittimamente che il sottosegretario alla Giustizia che è anche avvocato penalista non poteva non rendersi conto della gravità di aver reso pubblici atti riservati del Dap sulla vicenda Cospito e mentre il Presidente del Senato assolveva il figlio Leonardo dalla denuncia per violenza sessuale “perché la ragazza era drogata, consenziente e anche in ritardo nella denuncia”. Il Capo dello Stato era in missione all’estero mentre “fonti di palazzo Chigi” vergavano la nota che accusa “certa magistratura di fare politica e di aver iniziato la campagna elettorale per l’Europee” e di farlo “per impedire le riforme che noi faremo perché sono nel programma”. Roba da fa tremare i polsi a qualunque giurista.

Al netto di un presunto sospetto tempismo di alcune toghe (i tre fatti sono in realtà scollegati uno dall’altro), non esiste che palazzo Chigi faccia uscire una nota bollinata come quella. Dal Quirinale si fa notare come in realtà “il presidente La Russa in quei giorni non avesse avuto la supplenza della carica in assenza del Capo dello Stato”. Significativo che non gli fosse stata data. E comunque già nello scorso fine settimana è iniziato il delicato lavoro della mediazione. Mantovano ha fatto filtrare di aver provato fin da subito a spegnere il fuoco trovando però un muro davanti a sé. Allora l’ha presa alla larga. “Dobbiamo uscire da un revival di contrapposizioni che non fa bene a nessuno” ha detto già la sera del 7 luglio. Poi ha mandato avanti il ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani: “Non serve a nessuna passare l’estate a parlare di questi fatti. Sono altri i temi di cui ci dobbiamo occupare”.

Distensiva, anche per questione di parrocchia, l’intervista del sottosegretario di Forza Italia Francesco Paolo Sisto: “Basta con le guerre di religione dal sapore vintage”. Più difficile è stato far ragionare il ministro Nordio. In un crescendo partito da “basta con la politica che s’inginocchia alla magistratura” per arrivare all’ipotesi della modifica dell’imputazione coatta e della revisione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa”, Mantovano ha dovuto dare uno stop netto e gelido: “Non è il caso aprire altri fronti”. Nordio avrà compreso? Deve farlo, al di là del sarcasmo quando si dice “onorato” dei rilievi del Colle sull’ultima (ma la prima di Nordio) riforma della giustizia. Il ddl in queste ore avrà il via libera del Quirinale che riguarda – è importante chiarirlo – solo l’autorizzazione a presentare il testo in Parlamento (avvio dell’iter al Senato). Saranno poi i parlamentari a correggere eventuali punti critici. La riforma Nordio prevede l’abolizione del reato di abuso di ufficio ma non la separazione delle carriere tra giudici e magistrati che è una riforma costituzionale. Giorgia Meloni ha promesso che si farà, senza fretta però, “nell’arco della legislatura”.

Già, la premier. L’auspicio di Mantovano era che la conferenza stampa di Vilnius avesse toni diversi. Bene che sia arrivata la netta presa di distanza da La Russa. Un po’ meno bene su Delmastro perchè in realtà Meloni ha accusato il gip di fare politica. E infatti il Csm vuole aprire una pratica a tutela. E’ anche vero che la premier non poteva smentire se stessa a pochi giorni dalla famosa “Nota” che infatti ha dovuto rivendicare con un filo di voce. Comunque, adesso voltare pagina e andare avanti. Anche perché, appunto, Mattarella si è mosso ed è stato chiaro: finchè io sono qua nessuna delegittimazione sarà tollerata, l’equilibrio tra poteri sarà sempre salvaguardato ed io sarà sempre pronto a mettere in campo la mia moral suasion. E’ questo il significato dell’invito al Colle, mercoledì sera, dei supremi giudici di Cassazione, la presidente Margherita Cassano e il procuratore generale Luigi Salvato. Ed è stato anche questo il significato del faccia a faccia tra il Capo dello Stato e la premier ieri sera una volta concluso il Consiglio supremo di difesa. Ci sono altri problemi. La guerra con i magistrati fa solo perdere tempo. Soprattutto, sopire e troncare. Troncare e sopire.

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Giornalista originaria di Firenze laureata in letteratura italiana con 110 e lode. Vent'anni a Repubblica, nove a L'Unità.