Il presidente ucraino Zelensky con una mossa repentina ha cacciato 5 governatori, 4 viceministri, 2 capi di agenzie governative, il vice capo dell’ufficio presidenziale, il vice procuratore generale. Le accuse sono gravi: corruzione e altri reati. Si tratta di una vera e propria purga, un blitz avvenuto all’improvviso e senza alcuna evidenza rispetto alle accuse e alla loro fondatezza. Il meccanismo è di quelli tipici di paesi come la Corea del Nord o la Cina.

Non si tratta di difendere i funzionari detronizzati, ma il solo fatto che sullo sfondo vengano messe in atto operazioni del genere è l’ennesima dimostrazione di un oggettivo deficit di affidabilità dell’interlocutore.

Qualcuno sostiene che il pugno duro utilizzato da Zelensky all’interno sia un segnale di trasparenza verso i paesi occidentali che si apprestano ad inviare una pioggia di miliardi e , soprattutto, di armi. Ma, se questi sono i segnali, vuol dire che lo scadimento è totale. Dicendo forte e chiaro che la posizione di Putin è indifendibile, come è possibile fidarsi di Zelensky? Dopo averlo frettolosamente incoronato statista mondiale, almeno oggi, è possibile mettere qualche paletto per richiedere la fine delle ostilità?

Quantomeno, la diplomazia internazionale così impegnata nell’invio delle armi dovrebbe pretendere che il presidente ucraino la smetta di assumere atteggiamenti esasperatamente bellicosi e di continuare a comportarsi come se fosse costantemente su un set cinematografico. Se proprio vogliamo dirla tutta, dovrebbero levarsi di torno (politicamente) tutti e due, Putin e Zelensky. A questo si dovrebbe lavorare, a costruire un nuovo ordine dove la ragionevolezza passi attraverso l’abbandono dei personalismi.