Guerra in Ucraina, l’escalation militare che può trasformarsi in uno scontro diretto sul campo tra la Russia e la Nato. Il Riformista ne discute con il generale Giuseppe Cucchi. Generale della riserva dell’Esercito, già direttore del Centro militare di studi strategici, consigliere militare del presidente del Consiglio, rappresentante militare permanente dell’Italia presso Nato, e Ue, consigliere scientifico di Limes.

Quando le forniture a Kiev non basteranno più “ci scopriremo di fronte alla scelta che abbiamo finora evitato di considerare: fare davvero e direttamente la guerra alla Russia oppure lasciare che la Russia prevalga. Questo bivio ‘impossibilÈ si sta avvicinando, a vantaggio di Mosca”. Così Lucio Caracciolo, direttore di Limes. Generale Cucchi, siamo al punto di non ritorno?
Spero si riesca a trovare prima qualche soluzione che blocchi questa corsa in avanti, estremamente pericolosa. Potremmo trovarci a renderci conto che o lasciamo andare affondo l’Ucraina oppure entriamo in guerra anche noi, ammesso che non lo siamo già, visto che per i russi diventa sempre più chiaro che l’Occidente è in guerra. Una soluzione possibile in questo momento non si vede. Stiamo tutti aspettando di vedere cosa succederà a primavera.

Vale a dire?
Se ci sarà ancora una superiorità parziale, limitata, concentrata in determinati posti dell’Ucraina, con i rinforzi in armamenti e il sostegno di vario tipo che riceverà dall’Occidente oppure se la primavera dimostrerà che la Russia sta piano piano riuscendo ad esprimere tutto il proprio potenziale che, almeno sulla carta, è ancora nettamente superiore a quello ucraino. C’è una cosa che temo moltissimo…

Quale, generale Cucchi?
L’entrata in guerra della Bielorussia, che consenta ai russi di ritentare con forze diverse e una piena conoscenza di quello che c’è dall’altra parte, una manovra a tenaglia che punti su Kiev, dalla Bielorussia da un versante e dall’altro da quella parte dell’Ucraina in cui oggi si combatte, quella rivendicata dai russi. Se lei chiede alla politica o alla diplomazia di tutto il mondo di indicare quale potrebbe essere la soluzione di compromesso, in questo momento non gliela indica nessuno. In più mi spaventano le divisioni che emergono in seno all’Occidente, in particolare la differenza di visione che c’è, pur nell’ambito della solidarietà atlantica, tra una Europa che avrebbe tutto l’interesse a chiudere la guerra e a recuperare al più presto un rapporto con la Russia – e ci sono paesi come la Germania ma anche l’Italia per i quali questo interesse è particolarmente forte – e gli Stati Uniti che questo interesse non ce l’hanno. È una guerra lunga e che rischia di diventare una guerra di logoramento. La possiamo sopportare per un certo periodo ma poi man mano che crescono i danni che questo conflitto produce, anche al nostro interno, cominceremo a chiederci: ma chi ce lo fa fare? Per fortuna ci sono anche dei fringe benefit.

In cosa consisterebbero?
Penso ad esempio al tentativo dell’Italia di diventare l’hub energetico dell’Europa. Quindi la ripresa di una politica mediterranea da parte del nostro paese. Non è un caso che si rifaccia il nome di Mattei. In un certo senso questo è un “regalo” della guerra. Se non fosse che smettiamo di essere dipendenti da una parte per diventarlo dall’altra.

Nel declinare quel “bivio impossibile” che sta di fronte all’Europa, Caracciolo indicava esplicitamente una scelta che da qui a non molto potrebbe investire l’Europa e noi con essa: quella dell’invio di truppe in Ucraina.
Ma quali truppe può inviare? Questo è un enorme punto interrogativo. Perché l’Europa ha rinunciato alla leva, con l’eccezione della Svezia che è ritornata sulle sue decisioni. Le faccio il caso dell’Italia. Il nostro paese ha soldati professionisti che sono bravissimi a fare del peacekeeping ma che non hanno mai combattuto in una guerra reale. Non dubito che sarebbero capaci ma sarebbero comunque in un numero estremamente limitato. E non ci sono riserve addestrate. Cosa ancora più importante è che pur nella coscienza di questa situazione, non vengono presi quei provvedimenti che potrebbero essere necessari e opportuni per aumentare il numero dei soldati, magari con servizi militari di durata limitata che servano unicamente all’addestramento, o l’adozione di un sistema, tipo quello svizzero, che in pratica finisce col dare un addestramento a tutti i cittadini, minimo ma a darlo. Non si sta facendo assolutamente niente. Come non si sta facendo assolutamente niente per modificare la capacità produttiva della nostra industria militare. Che va bene per rifornire un esercito in tempo di pace o di conflitto limitato, ma in un conflitto generalizzato, finiremmo in breve tempo le nostre munizioni. Il discorso sul personale è importantissimo. Perché incontrerebbe una resistenza molto forte da parte di tutti i paesi della Nato. Un battaglione, due battaglioni, una brigata, certamente, ma il resto me lo tengo a difender casa. E in molti casi non ho più neanche quel minimo indispensabile per farlo. È una questione che porta via anni.

Più che una pratica possibile, quello dell’invio di truppe alla prova dei fatti si riduce a un esercizio retorico.
Direi proprio di sì. O per lo meno è qualcosa che può diventare possibile nel momento in cui da un lato cambia la mentalità e dall’altro, a seguito di questo cambiamento mentalità e dell’acquisizione di una coscienza collettiva del rischio di dover combattere per la sopravvivenza anche noi, si prendano con urgenza tutte le misure del caso, concentrando tutta la potenzialità nazionale per un periodo di tempo indeterminato proprio su quello, per ricostruire strumenti adeguati.

Dopo aver tergiversato a lungo, la Germania ha annunciato l’invio dei Leopard2. Al tempo stesso il cancelliere Scholz ha affermato che la Nato non invierà né caccia né soldati in Ucraina. Come leggere questo combinato disposto?
Berlino non può né vuole rompere con gli Stati Uniti e al tempo stesso, per quanto riguarda la Russia, non intende mettersi in condizioni tali da rendere difficile o addirittura impossibile un recupero, a cose finite e in tempi relativamente brevi, di un rapporto con Mosca. Un gioco di equilibrio molto difficile da reggere.

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Esperto di Medio Oriente e Islam segue da un quarto di secolo la politica estera italiana e in particolare tutte le vicende riguardanti il Medio Oriente.