Macron non è un attore neutrale sulla scena della storia. E non è un caso se ormai si parla di una nuova conferenza di Parigi per chiudere la guerra in Ucraina. Accadde al termine della Prima guerra mondiale con la conferenza di Versailles, accadde nel corso della guerra del Vietnam quando americani e nord vietnamiti si incontravano in un ufficio di Parigi. Parigi è la meno neutrale delle capitali del mondo. È a Parigi che si chiudono le guerre.

La fine della guerra russa in Ucraina richiederà molta pazienza, molte rinunce. Ma finora ha funzionato: Macron è andato a Washington per trattare con Biden dopo che il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov ha espresso apertamente l’intenzione di Putin di trattare e di trattare con uno specifico interlocutore: John Kerry, già candidato democratico alla Casa Bianca, uomo di Stato, che viene dall’apparato militare e provvisto di una robusta e filosofica conoscenza della storia. Di quale storia? Della relazione speciale che la Francia ha con gli Stati Uniti d’America, che considera da sempre una sua provincia non del tutto normalizzata ma connessa con antichi legami di gratitudine e di identità. Ma anche del legame che ha con la Russia (la Francia entrò nella Grande guerra in seguito all’alleanza che la legava a Mosca nel momento in cui Mosca decideva di entrare in guerra contro la Germania e l’Austria).

Macron era rimasto molto seccato più che scandalizzato dall’invasione dell’Ucraina, ma poi apparve stravolto quando, a invasione già in corso, la Cina sembrava essere perfettamente allineata con la Russia mettendo a repentaglio ciò che da quasi un secolo Parigi sogna: più che un asse, una vera integrazione della Russia europea con l’Ue seguendo le tracce della solida formula gollista di un’Europa “dall’Atlantico agli Urali”. Pochi ricordano il terrore che sconvolse l’America quando il generale de Gaulle andò in visita per la prima volta a Mosca dove pronunciò un lungo discorso in russo. Alla Cia e al dipartimento di Stato erano impazziti: nessuno aveva la più pallida idea che il presidente francese maneggiasse con disinvoltura la lingua di Tolstoj.

Ma era un bluff: De Gaulle non sapeva una sola parola di russo ma per settimane si era dedicato ad imparare a memoria un discorso preparato dagli interpreti e recitato 100 volte allo specchio. Non si tratta di un aneddoto curioso ma di un manifesto che esprime con chiarezza quanto la politica francese fosse determinata a cacciare fuori dall’Europa gli americani e aprire l’Europa ai russi. Tutto questo non aveva nulla a che fare con il comunismo ma con la geopolitica. La Russia diventata Unione Sovietica aveva sempre praticato una politica militarmente ostile con una pratica di esercitazioni annuali che consistevano nel respingere un attacco americano ricacciando gli yankee oltre l’atlantico. La Francia di de Gaulle aveva abbandonato la Nato per poi rientrarci come un socio speciale e autonomo. Curiosamente oggi è una posizione simile a quella della Turchia di Erdogan, che pur essendo nella Nato non pratica le sanzioni contro la Russia e tuttavia fornisce agli ucraini dei droni micidiali di fabbricazione turca, mentre si prepara ad una nuova invasione della Siria.

Ma l’apparente vicinanza della Cina di Xi Jinping alla Russia di Vladimir Putin era stato un abile inganno del presidente russo che aveva finto di aver ottenuto durante la visita di Putin a Pechino in chiusura delle Olimpiadi, l’appoggio cinese per l’ “Operazione militare speciale” in Ucraina, mentre in realtà i cinesi erano stati colti totalmente di sorpresa, come cominciò a trapelare al vertice di Samarcanda. Quando è apparso chiaro che la Cina non aveva alcuna intenzione di appoggiare l’avventura di Putin ma anzi esprimeva apertamente la condanna contro chiunque varcasse con le armi i confini degli Stati (questo il fondamento giuridico-ideologico contro l’interferenza americana su Taiwan), si è anche capito che la pretesa sintonia tra Mosca e Pechino era finita, o forse mai iniziata. A quel punto Macron ha visto riaprirsi il sentiero illuminato del sogno francese: l’alleanza strategica con la Russia.

Chi invece aveva creduto poco alla grande alleanza tra Parigi e Mosca era stato semmai Vladimir Putin il quale, durante la prima fase dell’invasione Ucraina, aveva ricevuto a Mosca molte volte il presidente francese che rappresentava in quel momento l’intera Europa, ma snobbandolo e addirittura costringendolo a sedere all’altro capo di un tavolo lungo venti metri. Macron perorava la causa della pace, ma a fini francesi: voleva far comprendere all’ostinato Putin che ben altri trionfi avrebbe conseguito il suo Paese se avesse accettato un rapporto speciale con la Francia. In che cosa doveva consistere tale rapporto? Energia per la Francia e tecnologia per la Russia, dominando in tandem sia l’Europa che l’Asia, fino al Vladivostok.

Oggi Putin sembra aver compreso che il giovane presidente francese gli stava veramente offrendo l’ultima chance prima di trovarsi di dover scegliere se usare o no l’arma nucleare. Da due giorni Macron ha convinto Putin di essere in grado di mettere in salvo la Russia dalla sua stessa rovina e Joe Biden è d’accordo: gli americani dicono che con il loro interventismo hanno impedito che arrivasse un segnale sbagliato a tutte le nazioni che vorrebbero difendersi da tentativi russi di annessione dotandosi di armi nucleari. Ha detto di aver voluto impedire la proliferazione nucleare incontrollabile dimostrando a tutti che la Russia non può pretendere di ricostituire i confini dell’impero zarista armato, e di aver messo l’Ucraina invasa in condizione di combattere ma senza desiderare la disintegrazione della Russia e neanche un in certo cambio della guardia al Cremlino. È una situazione win-win, quella cioè in cui vincono tutti se la guerra finisce:

Putin ne esce vivo, gli Stati Uniti smettono di dissanguarsi. L’Europa può vantarsi di essere rimasta con la schiena dritta e avere raggiunto una identità collettiva. L’Ucraina ne esce come un paese valoroso che si è guadagnato il rispetto del mondo e diventa automaticamente una potenza militare di media grandezza e la Cina è soddisfatta di poter contare gli anni e forse i mesi in cui potrà riavere Taiwan. Sullo sfondo, il totale disprezzo che Macron ha per l’Europa nel suo complesso perché secondo lui il Vecchio continente non è stato in grado ancora di trovare una linea anticinese perdendo tempo con una Russia troppo irrequieta. Macron e Biden non hanno la stessa visione del mondo ma anche le loro differenze in questo momento coincidono. Il mondo ha perso troppo con questa guerra e troppo ancora potrebbe perdere. È ora di chiudere e per questo è stata lanciata l’idea ricorrente e consolidata e una grande conferenza di Parigi che permetta alla politica estera e all’economia di ripartire.

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Giornalista e politico è stato vicedirettore de Il Giornale. Membro della Fondazione Italia Usa è stato senatore nella XIV e XV legislatura per Forza Italia e deputato nella XVI per Il Popolo della Libertà.