Bagliori di pace nel conflitto in Ucraina
Putin sceglie Kerry, è lui l’uomo giusto per trattare la pace
“È l’unico uomo di cui mi fido, l’unica persona seria e onesta capace di cercare una soluzione seria e giusta. ho parlato con lui più o meno 50 volte e lo conosco a fondo e questo è il momento in cui la ricerca della pace ha bisogno di un uomo come John Kerry”. Così parlò ieri il ministro più vicino a Putin, Lavrov, Durante una conferenza stampa in cui ha esaltato il leader americano e contemporaneamente scaricato come interlocutore possibile Papa Francesco, che ormai ha assunto – sostiene sempre Lavrov – posizioni “poco cristiane”, avendo il capo del cattolicesimo mondiale definito crudeli i combattenti ceceni e gli altri mercenari che il Cremlino sta usando in Ucraina.
È un colpo di scena, è una svolta, perché le parole del vero interprete di Vladimir Putin vanno interpretate nel loro significato più profondo. Che cosa significa la scelta di un ex candidato democratico alla Casa Bianca, un militare di carriera passato alla politica che oggi viene indicato come il più onesto interlocutore per trovare una soluzione pacifica al conflitto nato probabilmente per una sottovalutazione dell’Occidente sotto la guida di John Biden? Per capirlo bisogna tornare indietro di alcuni giorni, quando la Casa Bianca ha cominciato ad emettere dei segnali importanti ed interlocutori sulla questione delle armi all’esercito di Zelensky. Il presidente ucraino negli ultimi tempi si è fatto molto baldanzoso ed intransigente dal momento che le sue forze armate, armate con le più sofisticate e costose armi americane ed inglesi, si sono rivelate forti, totalmente motivate a differenza di quelle russe, in grado di usare meccanismi sofisticati grazie ad un intenso training del personale militare ucraino sia negli Stati Uniti che nel Regno unito, tanto da cambiare il corso della guerra fino al punto di far dubitare della capacità stessa dell’istituzione militare ex sovietica di dominare un paese minore come l’Ucraina.
E questo ha fatto crescere l’ipotesi, o forse la fantasia, di un contrattacco progressivo di Kiev oltre i propri confini fino ad investire il territorio russo proprio mentre la Russia è attraversata dalla prima grande crisi di consapevolezza dei costi umani ed economici di una dissennata “operazione militare speciale” che nelle intenzioni avrebbe dovuto spazzar via il governo di Kiev, mettere sotto controllo definitivo il Donbass e le due repubbliche popolari autoproclamate, blindare per sempre la Crimea già conquistata nel 2014, e in più sigillare la costa e le città portuali sottraendo all’ucraina lo sbocco al mare e il commercio del proprio tesoro più importante che è quello del grano. L’operazione militare è fallita nel momento stesso in cui si è visto che Kiev non era controllabile e che la qualità dei combattenti chiamati a difendere la loro stessa terra non era comparabile con quella dei militari russi del tutto impreparati anche mentalmente oltre che tecnicamente a vincere contro un esercito di struttura e preparazione occidentale, benché armato perlopiù con armi di fattura sovietica oggi non più in produzione ma di qualità ancora eccellente di cui sono provvisti i paesi che facevano parte del patto di Varsavia.
Il segnale più importante che hanno dato gli americani e che probabilmente è alla base della scelta pubblica espressa dal ministro degli Esteri russo è quello che spiega le ragioni strategiche del misurato benché costosissimo sostegno americano a Kiev. Il segnale è consistito in ripetute manifestazioni di irritazione e di critica per i propositi troppo bellicosi di Zelensky e l’invito perentorio ad usare i mesi del freddo e della riduzione della mobilità delle truppe per aprire e possibilmente concludere negoziati che portino prima di tutto al cessato il fuoco. La ragione è stata espressa dai think tank americani e raccolta da riviste importanti come Foreign Affairs . Gli americani hanno detto che da tempo avevano avvertito i russi di non intraprendere l’operazione in Ucraina che era ben nota da almeno un anno nella sua concezione e attuazione imminente perché almeno 25 paesi dell’est e anche occidentali avevano reagito all’ipotesi di un attacco russo all’Ucraina con l’intenzione di dotarsi immediatamente di armamenti atomici benché non facessero parte del club dei paesi armati di armi nucleari.
I russi avrebbero risposto che la loro operazione in Ucraina sarebbe stata talmente veloce è micidiale da impedire qualsiasi reazione che turbasse gli equilibri raggiunti, e questa risposta provocò una forte irritazione alla Casa Bianca perché gli americani sapevano che la pianificazione del Cremlino era sbagliata oltre che intollerabile. I fatti avrebbero dimostrato che l’operazione speciale militare di Putin era un fallimento se non altro nei tempi perché anche una possibile vittoria russa avrebbe richiesto ( e tuttora richiederebbe) un impegno di uomini, mezzi, tempi, tale da sconsigliare una tale avventura. Ma non c’è stato niente da fare, l’avventura è partita e i risultati confermano che come minimo l’operazione speciale si è trasformata in una guerra vera e propria dalle conseguenze tuttora incalcolabili. Ma la Casa Bianca ha voluto far sapere ai russi di non voler consentire a Zelensky ciò che i circoli militari di Kiev desidererebbero di più, e cioè impartire una lezione indimenticabile al Cremlino tale da provocare la caduta di Vladimir Putin per poi trattare col suo successore.
La crisi economica e l’inflazione galoppante hanno determinato le prime forti resistenze nell’elettorato americano, che ha scoperto di dover pagare un uovo tre volte di più di quanto lo pagava un anno fa al supermercato, mentre i suoi soldi vengono usati per produrre costosissimi sistemi d’arma da regalare agli ucraini. Di qui l’avvertimento che l’invio di armi avrebbe subìto dei freni che avrebbero messo a rischio la posizione fin qui vittoriosa dell’esercito di Kiev e quindi la posizione americana è diventata esplicitamente favorevole alla trattativa e alla concessione di qualcosa alle pretese di Putin. Da quel momento si è aperta una nuova fase nelle trattative bilaterali tra Stati Uniti e Federazione russa. La dichiarazione di ieri di Lavrov dimostra quanto il messaggio sia stato opportunamente valutato e ben ricevuto dal Cremlino al punto da esprimersi con l’indicazione di una scelta espressa dal ministro degli Esteri della Federazione che dichiara apertamente di desiderare come interlocutore privilegiato John Kerry, l’uomo che nel corso di questi anni ha sviluppato e mantenuto un rapporto anche personale col ministro degli Esteri di Putin il quale – potenza del fattore umano – si fida di lui dal punto di vista etico e politico.
Allo stesso tempo la dichiarazione di repulsa nei confronti di Papa Bergoglio, prendendo a pretesto la condanna di Francesco nei confronti della crudeltà delle truppe cecene in Ucraina, indica che il Cremlino non intende minimamente trattare sotto l’influenza del capo dei cattolici diventato un concorrente del capo della Chiesa ortodossa Kyrill: preferisce una trattativa diplomatica con l’amministrazione democratica che costringa gli ucraini a sedere al tavolo della trattativa benché si trovino nella loro fase più smagliante e vincente, imponendo loro il freno alle ambizioni di rivincita e la possibilità per Putin e il suo circolo di uscire dall’avventura Ucraina portando qualche risultato concreto da offrire all’opinione pubblica salvando la faccia e la stabilità dell’assetto federale russo.
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