Le tasse vanno pagate. È un principio sacrosanto. Ma se lo si ripete senza interrogarsi sulle condizioni in cui ciò avviene, diventa uno slogan vuoto. Peggio: un alibi per giustificare un sistema fiscale che, da anni, ha superato ogni soglia di sostenibilità. Come se il problema fosse un deficit morale degli italiani, che sarebbero incapaci di contribuire al bene comune o, peggio ancora, completamente disinteressati ad esso.
Non è così. Il problema evidentemente non è nei cittadini, ma in un impianto fiscale che ha da tempo smarrito la misura. Il problema è altrove, e riguarda invece uno Stato che pretende tanto, restituisce poco e giustifica troppo spesso i propri squilibri con un centralismo opaco, inefficiente e ridondante.

Il carico fiscale è asfissiante

Sì, di sicuro ci sono i furbi. Ma milioni di italiani che arrancano nel tentativo di far fronte ai propri obblighi non lo fanno per vizio o in malafede, bensì perché il carico fiscale è ormai diventato asfissiante. E la frustrazione di chi si sente solo, colpevolizzato e oppresso, alimenta un distacco che logora la fiducia dei cittadini e di certo non risolve il problema. In questo quadro, non bisogna intendere la proposta di una nuova rottamazione come una resa, ma come un atto di realismo e giustizia. Si tratta di una finestra per respirare, per rientrare nei ranghi, per ricucire il rapporto conflittuale tra Stato e contribuente. È quindi un’occasione da cogliere, e che non bisogna giudicare con sufficienza, derubricandola a scorciatoia per chi non paga.

La rottamazione da sola non basta

Ma da sola la rottamazione non basta. Non si può continuare a spegnere incendi senza ripensare l’impianto. Una riforma fiscale vera, e non cosmetica, è oggi indispensabile: troverebbe il suo scopo non certo nel premiare l’elusione, ma nel rendere finalmente il fisco equo, prevedibile e amico della crescita. Di conseguenza è tempo anche di completare il disegno della flat tax, già avviato per alcune fasce di reddito. Bisogna farlo perché portare a termine quel lavoro significherebbe restituire certezza, semplicità e proporzionalità. Ma soprattutto consentirebbe la costruzione di un sistema in cui pagare sarebbe possibile, e dunque anche doveroso per ogni cittadino che finalmente pagherebbe il giusto.

Gli italiani non sono un bancomat

L’idea che gli italiani possano essere intesi come un bancomat dal quale prelevare a piacere non può più essere accettata. Il cambio di passo, a questo proposito, è nel comprendere che lo Stato forte è quello che chiede meno, ma che in contemporanea spende meglio. Ovvero quello che vede nella fiscalità non solo uno strumento di entrata, ma anche un perno della coesione e del patto sociale. Rottamare oggi serve a sanare il passato. Ma domani serve un fisco nuovo, capace di guardare al futuro con rispetto, fiducia e responsabilità. Questa è la vera sfida politica che ci attende. E che non possiamo più rinviare.