Cinema
“Le Vele Scarlatte”, a Cannes il film di Pietro Marcello che narra le inquietudini degli ultimi
Questa del 2022 sarà l’ultima edizione della Quinzaine des Réalisateurs, sezione indipendente del Festival di Cannes, diretta dall’italiano Paolo Moretti. Forse per caso ma un po’ anche per destino, ad aprire la rassegna c’è un connazionale, Pietro Marcello, con il suo primo film francese L’Envol, Le Vele Scarlatte, tratto dal romanzo di Aleksandr Grin, scrittore russo pacifista del XX secolo. Ancora una volta, dopo Martin Eden, Marcello si lascia travolgere dalla letteratura per uscire dalla sua originaria dimensione da documentarista ed entrare nel cinema di finzione. Le Vele Scarlatte narra di Juliette, (l’esordiente Juliette Jouan), giovane orfana di madre che vive con il padre, Raphaël, un soldato sopravvissuto alla prima guerra mondiale. Un giorno, lungo la riva di un fiume, incontra una maga che le predice che delle vele scarlatte arriveranno per portarla via dal suo villaggio e Juliette non smetterà mai di credere nella profezia.
«L’elemento che mi ha fatto vedere un film in quel romanzo è il rapporto tra il padre e la figlia – precisa nelle note di regia – la madre muore, ed è il padre a prendersi cura della bambina. Questo rapporto mi interessa in sé, e ancor più nel momento in cui si spezza. Lui muore e lei diventa una donna indipendente». Lo definisce “un film femmina” e non femminista il regista che afferma: «Abbiamo distrutto la figura del principe azzurro, muore Raphael, il padre solido e arriva Jean che rappresenta un po’ l’uomo moderno, fragile che non sa dove stare, che è anche la figura del padre contemporaneo». Nella sua accezione prettamente femminile, il film incontra virtualmente il suo predecessore Martin Eden e gli si contrappone: «Martin Eden tradisce la sua famiglia per istruirsi e cambiar vita, prende le distanze dalle sue origini. Non è un tradimento di classe, ma di affetti. Ed è ben più profondo, tanto che alla fine ne è come consumato. Juliette è un anti-Eden. Bambina, ha la possibilità di andar via, di studiare in città e farsi una vita. Decide al contrario di rimanere a fianco del padre e lavorare con lui. Solo la morte di Raphaël la libera da quel patto. Che però non è stato per lei né un sacrificio né una violenza. Juliette continua a far parte di una comunità matriarcale. Quella di Martin Eden è una figura torturata. Le vele scarlatte al contrario è un film arioso».
Dialoga con l’oggi il film nel suo essere moderno e attuale, «sembra portarci nel passato, in realtà si può guardare con occhio moderno, come un film su un modello nuovo di matriarcato. È un film che prende il punto di vista delle donne». Per i suoi protagonisti principali, la giovane Juliette e suo padre Raphael, Marcello sceglie due attori dai volti che si imprimono nella memoria. Raphaël Thiéry, presenza carismatica anche in carne ed ossa durante la presentazione del film racconta la sua avventura: «Quando ho visto l’annuncio del casting, mi sono chiesto se sarei stato credibile nei panni di un soldato che torna dalla guerra del ‘14-’18. Mi sono trovato in un ambiente naturale per me che provengo da un background simile e questo mi ha permesso di comprendere le aspettative di Pietro rispetto al personaggio, un semplice nel rapporto che quest’uomo stabilisce con la figlia, che evolve nel tempo. Provare ad essere per lei una guida vera e propria nel desiderio di evitarle le sofferenze che lui ha subito e di renderla autonoma ed emancipata nei confronti della vita».
Scelta dopo un casting “selvaggio” come lo ha definito Marcello, Juliette Jouan porta a Le Vele Scarlatte il suo allure fiabesco, grazie ai momenti da musical in cui canta nella natura e incanta il suo principe azzurro Jean (Louis Garrel) proprio come una moderna Bella Addormentata nel Bosco. «Ho incontrato Pietro che mi ha detto cosa si aspettava da me. Il lavoro principale era lavorare sulle differenze tra me e Juliette perché sicuramente i punti di contatto c’erano», rivela. Durante l’incontro con la stampa, Pietro Marcello ci tiene a ripetere più volte che questo suo film francese è un film sudista, terzomondista. «Avrei potuto realizzarlo anche a Casal di Principe». Sono i reietti e gli outsider i personaggi da cui il regista nato a Caserta è sempre stato attratto, tanto da trovare il modo di raccontarli sempre.
Pietro Marcello spiega questa attitudine con l’inquietudine: «Probabilmente, come diceva Lucio Dalla, non immaginiamo un mondo senza inquietudine. Mi ricordo una volta che mi dissero che ero bravo a raccontare gli ultimi. A filmare i semplici è facile, forse è facile filmare i ricchi ma io preferisco stare sempre da quell’altra parte. In questo senso volevo stare con la corte dei miracoli che ho creato nel film dove ci sono i reietti del villaggio. Anche Aleksandr Grin era un reietto, provò a fare il terrorista, non ci riuscì e morì in Crimea come un miserabile».
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