A che cosa opponevano la propria assenza quelli che hanno disertato il Congresso statunitense riunito, l’altro giorno, nell’ascolto del discorso di Benjamin Netanyahu? La bruttissima sensazione – confermata dai comunicati che gli assenti, perlopiù democratici, facevano fioccare durante la prolusione – è che nel mirino di quei contestatori fossero direttamente le verità che Netanyahu andava pronunciando: e non il fatto che lui, Bibi, fosse indegno di farsene interprete.

L’ulteriore rimprovereo a Netanyahu

Questo, semmai, sarebbe stato ammissibile rinfacciare al primo ministro di Israele: il fatto che la difesa del diritto di esistenza dello Stato Ebraico non può essere affidata all’uomo che si è compromesso non nell’interesse comune, ma solo nel proprio, con istanze fondamentaliste e oltranziste che hanno chiuso il paese in un recinto di insicurezza.
Ancora, e proprio in ordine alla guerra inevitabile e giusta (e giusta perché inevitabile) contro il terrore genocidiario, a Benjamin Netanyahu sarebbe stato ammissibile rivolgere quest’ulteriore rimprovero: il fatto che altri avrebbe dovuto condurla, non il leader al comando dell’esercito risultato inetto a proteggere i civili dall’assalto delle belve del 7 ottobre.

La rimonta incontrastata

Ma lo sgarbo della diserzione non era indirizzato alla denuncia di quelle indegnità e inettitudini. Al contrario, appunto, erano piuttosto le cose condivisibili e le verità inoppugnabili snocciolate da Netanyahu a istigare quei critici all’esercizio delle loro requisitorie per assenza.
La brutalità indicibile e insuperata del pogrom dell’anno scorso, pari soltanto alla crudeltà infingarda disposta ad accantonarla dopo averne fatto la routinaria deplorazione.
L’indifferenza sfrontata davanti alla blasfemia che nobilitava a “resistenza” l’azione di quei macellai. La noncuranza a fronte dei proclami che non si limitavano a rivendicare lo scempio, ma annunciavano l’impegno a reiterarlo ancora, ancora e ancora, dal fiume al mare. La rimonta – vasta e sostanzialmente incontrastata, salve le protocollari dichiarazioni di formale ripudio – di un odio antiebraico tanto più osceno per come finalmente retribuisce il maligno giudaico, carico di settantacinque anni di colpa usurpatrice.

La negazione a Isreale

La negazione a Israele e al popolo ebraico non già del diritto di difendersi “in questo modo” (una posizione presentabile se fosse accompagnata dall’indicazione del modo alternativo), bensì la negazione del loro diritto di difendersi “in qualsiasi modo”, perché lo Stato nazista, lo Stato usurpatore, lo Stato genocidiario non ha nessun diritto di difendersi in nessun modo.Sono semplici e tremende verità. Il profilo dubbio o anche osceno di chi le pronuncia non le rende meno vere. Il voltafaccia di chi non le ascolta le rende anche più vere.