Bonaccini, Schlein, Figliuolo, quanto denaro è stato speso?
L’Emilia-Romagna finisce ancora sott’acqua, altro che modello: i soldi dove sono finiti?
Torna l’incubo dell’alluvione. Bonaccini ha sempre elogiato l’operato della Regione, Schlein aveva la delega al Patto per il clima. L’ambientalismo radicale diventa un ostacolo alla prevenzione
Fiumi esondati, strade allagate, case sott’acqua, persone sui tetti, oltre mille sfollati, treni cancellati, negozi chiusi, lezioni sospese. Il Ciclone Boris travolge l’Italia e l’Emilia-Romagna si risveglia con l’incubo alluvione. Di nuovo, a distanza di poco più di un anno. Non è il ricordo del dramma di maggio 2023: quelle tremende immagini tornano sì alla mente, ma si ripropongono ancora come realtà davanti agli occhi attoniti dei cittadini. Spaventati, increduli, sconcertati, incazzati. Sì, perché oltre le impressionanti quantità d’acqua dal cielo sono piovuti anche soldi dallo Stato. Risorse economiche che il governo ha destinato alla Regione dopo la devastazione di 16 mesi fa.
Bonaccini, Schlein, Figliuolo, quanto denaro è stato speso?
Che fine hanno fatto? Quanto denaro è stato speso? E in che modo? Soprattutto, perché l’Emilia-Romagna è finita ancora in ginocchio? E nessuno si azzardi a parlare di sciacallaggio. Sono domande lecite, visto che non regge più la storiella del modello-guida virtuoso, nazionale, efficiente, magnifico, sontuoso. L’ex governatore Stefano Bonaccini, che ora ha preferito accasarsi in Europa, a favore di telecamere si è sempre stracciato le vesti per difendere il suo operato. Neanche Elly Schlein può fischiettare all’aria: è stata vicepresidente della Regione e assessore con deleghe importanti come ad esempio il Patto per il clima (coordinamento delle politiche di prevenzione e adattamento ai cambiamenti climatici e per la transizione ecologica). E pensare che come commissario straordinario per la ricostruzione è stato nominato Francesco Paolo Figliuolo, Generale stimato per gli ottimi risultati dell’Italia nella campagna di vaccinazione anti-Covid. La delusione è tanta, così come la rabbia verso chi dimentica di aver amministrato la Regione.
Maltempo Emilia-Romagna, “500 giorni fa la richiesta del governo”
Parliamo di cifre importanti, di numeri che vanno al di fuori dell’ordinario. Galeazzo Bignami – viceministro alle Infrastrutture, contattato dal Riformista – punta il dito contro l’Emilia-Romagna: «Il governo ha assegnato 230 milioni sulla sola sicurezza idraulica. In totale 2,8 miliardi per la ricostruzione pubblica post-alluvione. A oggi di quei 230 milioni ne sono stati spesi 49. Il governo ha chiesto alla Regione di conoscere quali erano le criticità prima dell’alluvione». L’esponente bolognese di Fratelli d’Italia aggiunge un altro particolare: «Lo ha chiesto a maggio 2023 e nelle settimane successive. Nonostante siano passati 500 giorni, la Regione non ha mai risposto». Grave. E poi c’è la solita burocrazia nostrana. Fondi da liquidare, piani speciali da pianificare, collaudi infiniti, cantieri ancora da aprire, lunghi processi per le autorizzazioni. Una tiritera che immobilizza tutto, che mette nella palude l’urgenza di fare in fretta.
Ambientalismo e animalismo radicale
E non si possono chiudere gli occhi di fronte all’ambientalismo intransigente che urla «no» e mette il bastone tra le ruote a interventi necessari. Inutile riempirsi gli occhi di lacrime e singhiozzare dispiaciuti se non si accelera con la costruzione di bacini di laminazione, nuove casse di espansione e argini contro le piene. Per non parlare dell’animalismo radicale che come unico pallino ha la tutela di piccioni, mosche, zanzare e moscerini. E così accade che si preferisce puntare sulle sponde in terra battuta piuttosto che sulle vasche di laminazione. Il risultato? Tappeto rosso all’insediamento delle talpe che, giustamente, fanno il loro lavoro: costruiscono piccole dighe che otturano gli scoli. Un malinteso senso dell’impatto ambientale che non permette lo spostamento degli animali ma ne avvantaggia la proliferazione. Che dire? Un capolavoro.
Meno toni trionfalistici, più prevenzione
Lasciando da parte la lotta nel fango e la guerra tra bande dei partiti, è interessante riflettere su un altro punto: la ripartizione dei compiti. L’amministrazione locale, competente sull’aspetto della manutenzione e della cura idraulica dell’alveo del fiume, si occupa dei lavori relativi alla pulizia (anche del tratto sottostante il ponte); invece chi utilizza i territori (come i gestori delle infrastrutture) è tenuto a eseguire i lavori finalizzati alla conservazione e alla manutenzione del ponte o della strada. L’accumulo dei materiali legnosi sotto viadotti o cavalcavia dipende spesso da una mancata manutenzione a monte dell’alveo dei fiumi.
Insomma, senza ovviamente negare l’eccezionale fenomeno meteorologico, la questione è anche politica. Meno toni trionfalistici e petti gonfi, più prevenzione e pragmatismo. È questo il vero dogma che può salvare l’Italia dai danni del dissesto idrogeologico. Altrimenti le autocelebrazioni su presunti modelli magistrali sono destinate a sciogliersi come neve al sole. Servono interventi strutturali di ampio respiro, ma la politica soffre di tachicardia da slogan.
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