Il problema di Salvini sono le t-shirt. Lui non riesce a fare a meno di infilarsi una maglietta bianca e scriverci sopra quel che pensa in quel momento. Sarebbe anche un gesto di simpatica schiettezza ruspante, se non fosse che poi non basta toglierla perchè ormai sul web c’è una collezione in continuo aggiornamento, che nemmeno la Ferragni dei bei tempi.

Online si può ancora trovare una gustosa parodia di quelle sue performance da indossatore davanti al Cremlino con la t-shirt con su la faccia di Putin e il pollice alzato: le parti sono state invertite da uno spiritoso designer che ha così fatto indossare il ritratto di Salvini al presidente russo, pollice in su compreso.

Salvini da sempre mette le magliette, dai tempi di Roma Ladrona, ma quella per Putin è stata la passione che gli ha fatto varcare i confini dell’outfit nazionale. Parodie a parte, non è che la maglietta gli abbia sempre portato bene, come quando nel marzo del 2022 pensò di andare a confortare gli abitanti di Przemysl, cittadina polacca sulla frontiera con l’Ucraina.

Il sindaco non la prese bene e la maglietta con Putin gliela regalò lui, a ricordo delle sue reiterate simpatie. Sì, perché se oggi il segretario della Lega dice che la sua “opinione su Putin è davvero cambiata durante la guerra perché quando qualcuno inizia a invadere, bombardare, inviare carri armati in un altro paese, beh, tutto cambia”, fino a poco prima era stato tutto un pronunciar di frasi di elogio che per scriverle tutte altro che maglietta… Ci vorrebbero lenzuola.

Invadere con le armi è una gran brutta cosa, peccato che non la pensasse così nel marzo del 2014, quando in Crimea si teneva il tragicomico referendum sull’annessione di fatto alla Russia, con un esercito di miliziani mandati da Putin a controllare i seggi, armi alla mano.

Salvini era convinto che fossero lì per garantire serenità perché, mentre anche tra qualche esponente del centrodestra italiano si esprimeva perlomeno una certa perplessità, lui non aveva dubbi: “Viva il referendum della Crimea, viva la libertà di scelta dei cittadini. Quando la gente si esprime è sempre una buona notizia, a prescindere dalla latitudine e dall’ideologia. Chi non riconosce legalità al voto della Crimea va contro anche ai trattati internazionali perché il principio di autodeterminazione non la decidono né la Merkel, né Obama, né Barroso”.

In realtà a riconoscere la legalità di quel voto, oltre a lui, c’era solo la solita banda di dieci paesi filorussi sui 168 dell’assemblea delle Nazioni Unite. Oggi che siamo a ridosso del voto europeo, del resto, viene alla mente che per Salvini il paragone tra Mosca e Bruxelles è stato a lungo un chiodo fisso.

Credo che la Russia sia più democratica dell’Unione europea. Io farei a cambio e porterei Putin nella metà dei paesi europei”, diceva nel 2015. E un paio di anni dopo, mentre con delicatissimo equilibrio Mattarella a Mosca esprimeva preoccupazione per la situazione in Ucraina affermando che nemmeno la Russia avrebbe tratto beneficio dalla guerra, lui definiva Putinuna delle persone più lungimiranti, attualmente al potere sulla faccia della terra. Se devo scegliere tra Putin e la Merkel, vi lascio la Merkel per tutta la vita”.

Sulla lungimiranza Salvini ci aveva azzeccato, non c’è che dire. A cosa mirasse è altro discorso. E poi era tutta una questione di cattiva, malevola  narrazione: “Ho letto che secondo il PD Putin è un dittatore sanguinario. Hanno dei problemi”.

Lasciando perdere il Partito democratico, che quando si parla di problemi in un modo o nell’altro c’entra sempre, il fatto è che era da una decina d’anni che in Russia ogni tanto moriva qualcuno che non era d’accordo con i metodi del regime, a partire da Anna Politkovskaya.

Ma lui è fatto così: anche quando non ne indossa la maglietta, se è convinto di un’idea va avanti senza tentennamenti. In un tweet aveva paragonato i “patrioti veneti” alla Crimea, del resto corrisposto con entusiasmo da Zaia e i suoi. Poi a Venezia se ne sono pentiti e sulla Crimea hanno fatto marcia indietro.

Ma Salvini deve avere sempre in mente il bel ricordo del selfie sulla Piazza Rossa e così, dopo aver salutato come espressione democratica la rielezione dello “Zar”, continua a tacere sull’accordo politico tra Lega e partito di Putin, che sarebbe formalmente ancora in vigore. Chissà, se ogni tanto, davanti allo specchio indossa ancora la maglietta.

Mario Alberto Marchi

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