Sappiamo quasi tutto delle azioni criminali del dittatore bielorusso Lukashenko nella indotta crisi dei rifugiati ai confini con la Polonia; sappiamo le procedure con le quali persone che fuggono da Afghanistan ed Iraq entrano in Bielorussia e persino il nome della principale agenzia di viaggio che rilascia i compiacenti visti d’ingresso; sappiamo che i migranti, in gran parte afghani ed iracheni non possono chiedere asilo in Bielorussia e che vengono portati alla frontiera polacca: tornare indietro è impossibile.

Per chi scrive non è in discussione la necessità di azioni politiche urgenti contro la Bielorussia per arginare la crisi migratoria attuale, con la consapevolezza però che il dramma in corso è anche e soprattutto conseguenza dell’ottusa politica europea che da anni ritiene che il mondo si possa chiudere fuori dalla nostra piccola porta. Dobbiamo comprendere che non c’è alternativa all’iniziare a gestire la forte crescita dei rifugiati che a livello globale è in atto da almeno un decennio e che per oltre i tre quarti riguardano scenari di crisi di lungo termine, attuando ampi programmi pubblici di ingresso protetto di quote significative di rifugiati da paesi terzi verso l’Europa per alleggerire la pressione insostenibile che c’è su alcuni paesi e per combattere il traffico internazionale di esseri umani. Invece di fare ciò, all’esatto opposto, continuiamo a distribuire ovunque, in Asia ed in Africa, soldi a dittatori e bande armate di ogni genere affinché si tengano i rifugiati e ci facciano vivere tranquilli nel nostro fortino. Lo stiamo facendo, con immensa vergogna, anche sull’Afghanistan. Di questa nostra politica suicida iniziamo a pagare il conto, con o senza Lukashenko che fa il suo orribile gioco politico ma non è certo l’origine del problema.

Nella comunicazione politica si parla di un “attacco ibrido” portato dal regime bielorusso che usa i rifugiati come armi; si tratta di un linguaggio apparentemente oggettivo ma in realtà pericoloso. Possiamo certo dire che i rifugiati sono usati come armi improprie come metafora per definire l’azione della Bielorussia, ma le persone vittime di tale disegno non sono né armi né nemici ma esseri umani da tutelare. Alla domanda se è lecito, magari anche solo in condizioni limite come indubbiamente sono quelle attuali, respingere alla frontiera esterna dell’Unione degli stranieri che cercano di chiedere asilo, la risposta è chiara sul piano della legalità: il diritto di chiedere protezione alle frontiere esterne della UE previsto dal diritto dell’Unione, e in particolare dalla Direttiva 32/2013/UE, non prevede alcuna deroga o eccezione perché la domanda va sempre registrata e la persona va messa in sicurezza. Un eventuale rinvio verso lo Stato di provenienza potrebbe essere attuato solo dopo aver accertato, con una procedura che comunque tuteli diritti fondamentali, che le persone da rinviare non saranno sottoposte ad alcuna minaccia e potranno chiedere asilo accedendo ad una efficace protezione; si tratta di procedure già largamente abusate da parte dei diversi Stati dell’Unione che utilizzano in modo disinvolto la nozione di stato terzo sicuro (come ad esempio nel caso della Grecia con la Turchia), ma di cui non ha neppure senso parlare ora in quanto nessun ritorno in Bielorussia è possibile grazie a una simile procedura perché tale Stato non protegge in alcun modo, bensì perseguita le persone che con condotta criminale porta alla frontiera polacca.

Tanto il principio di non refoulement (non respingimento) sancito all’art. 33 della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato quanto l’articolo 3 della Convenzione Europea sui diritti dell’Uomo e le libertà fondamentali (divieto di tortura) sono divieti inderogabili e a nulla (se non ad occultare le operazioni in atto) serve lo stato di emergenza dichiarato dalla Polonia nelle aree interessate dalla crisi, poiché nessuna sospensione dei citati diritti inderogabili e dei relativi obblighi è possibile. La tutela della vita e dei diritti fondamentali delle persone è il principio che connota l’esistenza stessa dell’Unione Europea; senza di ciò l’Europa come definita nel Trattato dell’Unione, ovvero come “spazio di libertà, sicurezza e giustizia”, semplicemente si dissolve. Dobbiamo quindi rimanere inerti nell’assistere alle operazioni della Bielorussia che usa gli ultimi della terra come armi? Ovviamente no e rinvio a quanto ho già sopra accennato. Il punto invalicabile è che nessuna risposta alla crisi può passare attraverso la commissione di inaudite violazioni dei diritti delle persone causandone persino la morte per stenti e assideramento nelle foreste di confine con la Bielorussia pensando così di inviare ai rifugiati un messaggio forte di deterrenza. Questo modo di pensare va ripudiato quale scoria che emerge dalla parte peggiore della storia europea del XX secolo, durante il quale il nostro continente è stato culla di guerre totali e di stermini di massa.

Nel 2020 un risibile numero di 1.510 persone (dati Eurostat) hanno chiesto asilo in Polonia la quale, nonostante la sua estensione e la sua esposta posizione geografica, si colloca al terzultimo posto in Europa, seguita solo da Estonia e Ungheria, per numero di domande per abitante. Questo stesso Paese che è privo del tutto di rifugiati (altro che invasione) non solo non sta attuando alcun piano di soccorso umanitario e di rapida evacuazione dei migranti dalla zona distribuendoli nel proprio territorio, ma persino impedisce o ostacola le operazioni di soccorso da parte delle organizzazioni umanitarie e minaccia di sanzioni i propri cittadini. L’opacità con la quale avvengono le operazioni non consente di avere tutti gli elementi per analizzare a fondo ogni aspetto della condotta da parte delle autorità polacche che però, allo stato delle conoscenze, appare criminosa perché scientemente attuata allo scopo di provocare sofferenza e morte di persone che non avranno giustizia e i cui corpi anonimi vengono fatti sparire in fretta. Sulla Polonia la condanna da parte delle istituzioni europee dovrebbe essere netta aprendo subito una procedura d’infrazione per plurime e gravi violazioni del diritto dell’Unione; ma ciò non sta avvenendo e non avverrà.

L’Unione Europea, che pure agisce contro la Polonia per le sistematiche violazioni dello stato di diritto su molte questioni, dalla violenza contro le persone LGBTQI al controllo politico sulla magistratura (che non indagherà mai sulle violenze commesse sul suolo polacco da agenti statali e sulla relativa catena di comando) tace su quanto questo Stato dell’Unione sta facendo nella gestione della crisi alla sua frontiera, che è anche frontiera esterna dell’Unione, limitandosi ad esprimere generiche preoccupazioni. Si tratta del silenzio di chi in fondo condivide la condotta della Polonia o di chi tace perché sa di non avere l’autorevolezza morale per intervenire? Sembra trattarsi di entrambe le cose se si guarda alle irresponsabili dichiarazioni del presidente del Consiglio Europeo Charles Michel che il 9 novembre, proprio in occasione delle celebrazioni per la ricorrenza della caduta del muro di Berlino, ha affermato di ritenere legale finanziare “infrastrutture fisiche” per difendere le frontiere esterne. In ogni caso l’Unione tace perché non ha nulla da offrire alla Polonia per gestire l’accoglienza dei rifugiati; in particolare non è in grado di far partire (a dire il vero nemmeno di elaborare) un programma di ricollocazione dei rifugiati verso tutti o buona parte degli Stati dell’Unione; un programma che sarebbe giustificato non dal numero massiccio di arrivi in Polonia che, pur essendo ora elevati interessano un Paese senza rifugiati, ma come misura immediata per supportare una nazione impreparata che ha bisogno di costruire un sistema di accoglienza degno di questo nome.

Come ho scritto più volte su queste pagine, il dilagare incontrollato della illegalità e della violenza ai confini europei, in Croazia, in Bulgaria, in Grecia, in Slovenia (e in parte anche in Italia con la torbida e mai del tutto chiusa pagina delle riammissioni al confine del Friuli) ha portato l’Europa di fronte ad una situazione estrema, mettendo a rischio la sua stessa sopravvivenza almeno nell’attuale assetto del suo sistema giuridico di tutela dei diritti fondamentali. Senza quel sistema, oggi calpestato da troppi Stati e non difeso dalla Commissione e dal Consiglio Europeo, può forse ancora esistere un’Unione Europea, ma non quella attuale. È bene che come cittadini europei ne siamo consapevoli. Nella cupissima situazione di sgretolamento che stiamo vivendo almeno un’istituzione europea, quella più libera e rappresentativa dei cittadini dell’Unione, deve agire subito con maggior forza rispetto a quanto si è visto negli ultimi giorni, ed è il Parlamento. Non amo l’enfasi degli appelli ma questa volta mi sento di farne uno chiedendo ai parlamentari europei, ad cominciare da quelli italiani, di agire affinché la Commissione Europea venga richiamata alle responsabilità da cui sta fuggendo ma anche, in parallelo, di recarsi subito al confine tra Polonia e Bielorussia in numero adeguato e assicurando a turno un presenza lunga, per un monitoraggio sul campo di quanto sta avvenendo. Non c’è veramente più tempo per salvare la legalità e il rispetto dei diritti umani in Europa.