Putin utilizza la Bielorussia come ricatto contro le sanzioni
Cosa sta succedendo tra Bielorussia e Polonia, cosa c’è dietro lo scontro sui migranti
«Questa canzone è dedicata a tutti coloro che sono testimoni di fatti enormi, e neppure se ne accorgono», cantava nel 1965 Enzo Jannacci introducendo la triste storia di Prete Liprando costretto al giudizio di Dio. La storia si ripete senza neanche prendersi il disturbo di presentarsi in forma di farsa.
In queste ore, proprio mentre scriviamo, esseri umani vengono deliberatamente scaraventati sull’incerta frontiera tra Polonia e Bielorussia, che è uno Stato cuscinetto, o buffer-State come grande spazio che precede la Russia. Abbiamo sentito ieri il professor Romano Prodi in televisione, lui che è sempre stato un ammiratore e promotore di eccellenti rapporti con l’Urss prima e poi con la Federazione russa poi, dire con mestizia che di questa brutta storia è proprio la Russia che “ha in mano il pallino”. Di che pallino si tratta? Quello del gas. E anche quello del libero arbitrio negato al signor Lukashenko dichiaratosi Presidente vincitore delle ultime elezioni, contestate da tutti ma in particolare da Bruxelles.
L’Unione europea non riconosce Lukashenko a causa dei brogli e delle violenze con cui è salito al potere e la sua risposta, che si suppone suggerita e sostenuta da Putin che è il suo “puppeteer” o burattinaio. Come Prodi conferma: il pallino ce l’ha in mano Vladimir Putin, il quale comanda su uno dei due grandi Stati perduti dell’ex Unione Sovietica. L’altro è l’Ucraina che martella continuamente con la presenza di truppe senza insegne né bandiera.
Putin ha avuto una idea perfida e geniale: come ogni capo della Russia, sovietica o post- sovietica, odia i polacchi. La Polonia non esisteva fino alla fine della Prima guerra mondiale, quando fu estratta insieme alla Lituania dalle carni non più vive dell’ex impero zarista. L’Impero zarista che combatteva a fianco della Francia e dell’Inghilterra nella Grande Guerra fu messo in ginocchio dall’interno da Lenin e Trotskij con la Rivoluzione d’Ottobre e lo sterminio in uno scantinato dell’intera famiglia regnante dei Romanov, compresi donne e bambini uccisi a revolverate. La Russia fu costretta a firmare una pace separata con i tedeschi a Brest Litovsk, che allora era una città russa abitata da polacchi e che oggi si trova in Bielorussia, col nome semplificato in Brest.
Quando si arrivò al trattato di pace di Versailles, i nuovi reggenti bolscevichi erano guardati dai vincitori come briganti internazionali. La nuova Polonia, appena nata diventò subito fortissima con molte ambizioni come guida di un “Commonwealth” con i Paesi Baltici e messa alle strette da Lenin, ingaggiò una determinata guerra con la nuova entità sovietica (non si chiamava ancora Urss) e la vinse. A perderla furono due giovani commissari spediti da Lenin sul campo: Leon Trotskij e Josef Stalin, entrambi umiliati per essere stati sconfitti nella prima guerra del nuovo stato rivoluzionario. Quando Stalin fece fucilare quasi tutti gli ufficiali superiori dell’Armata Rossa con le purghe del 1937, liquidò prima di tutto i responsabili ancora vivi della sconfitta, lasciando però l’Armata Rossa priva di quadri ufficiali fino all’invasione hitleriana del 22 giugno del 1941.
Perché ricordare questi fatti vecchi più di ottanta anni? Per dare un senso al profondo odio dei polacchi per i russi, totalmente ricambiato, e spiegare perché la Polonia sia una delle più bellicose nazioni appartenenti alla Nato che da due decenni si comporta come se sapesse che prima o poi il regolamento finale dei conti con la Russia sarà inevitabile.
Quando il presidente Obama lasciò il suo incarico, come ultimo gesto insediò in Polonia una specialissima brigata supertecnologica corazzata americana per la quale le autorità polacche indissero tre giorni di festa con discorsi e parate militari, i russi videro bene che l’equilibrio militare si era spostato fortemente a favore dei polacchi perché non erano in grado, almeno all’inizio, di contrapporre sistemi missilistici adeguati. Vladimir Putin sperò che Donald Trump, per cui faceva un tifo sfegatato e inquietante, una volta eletto avrebbe rimosso quel nucleo militare installato in Polonia. Ma Trump lo deluse: pur dichiarandosi molto amico dei russi non soltanto non toccò quel sistema di difesa della Polonia estremamente costoso, ma lo rafforzò. La Polonia si stava così trasformando in qualcosa di simile al modello che i polacchi avevano sempre avuto in mente persino ai tempi in cui avevano dovuto subire l’incorporamento nei possedimenti imperiali zaristi: una Polonia fortissima apertamente opposta alla Russia, con l’ulteriore odio immagazzinato, come in Ungheria, durante quasi mezzo secolo di sottomissione all’Unione Sovietica, terrorizzata al punto da favorire l’“auto-invasione” del generale Wojciech Jaruzelski, l’uomo che portava sempre gli occhiali neri per aver avuto gli occhi bruciati dalla tortura del riverbero della neve.
In Italia se ne è parlato poco anche se i deputati Pd nel Parlamento europeo votarono a favore, ma nel 2019 la Polonia, l’Ungheria e gli altri Stati europei che avevano subito la perdita della libertà e anche sanguinose repressioni, chiesero e ottennero una Risoluzione del Parlamento in cui gli Stati dell’Europa occidentale riconoscono a quelli dell’Europa orientale il diritto a celebrare, oltre le date connesse con la sconfitta nazista, anche quelle connesse con la loro disgraziata storia sotto l’Unione Sovietica. Si discusse erroneamente di “equivalentismo” e il risultato fu quello che sappiamo. Quelli che siamo abituati a considerare Paesi sul filo della ribellione contro i principi fondatori dell’Unione reclamano il rispetto dei diritti che si sono visti riconoscere per il loro status dalla fine della guerra al 1989 e oggi – ieri l’altro per l’esattezza – la Polonia ha ricevuto un dono che sarebbe stato impensabile fino a una settimana fa: la totale solidarietà dell’Unione Europea alla Polonia finora considerata riottosa per non aver accettato la cessione di sovranità richiesta dall’Unione.
Come è potuto accadere? Basta guardare le carte in tavola: la Bielorussia – stato cuscinetto e anche marionetta della Russia – aggravata dalle numerose sanzioni inflitte dall’Europa per aver negato la democrazia ai suoi cittadini, ha ripreso un’idea cinica e geniale che discende dalle politiche degli anni Venti e Trenta del secolo scorso. Ha cioè usato la disperazione degli esseri umani come innesco di un ordigno capace di scardinare i confini della Polonia e della Lituania. Le centinaia di migliaia di persone che si stanno accalcando lungo le frontiere orientali dell’Unione non sono formate da lunghe processioni di profughi che hanno risalito a piedi i Balcani fino ad arrivare alla Bielorussia, ma sono stati portati in quel Paese – secondo le informazioni di cui finora si dispone – con voli charter organizzati da compagnie di viaggio, regolarmente pagate o offerte in omaggio, non è chiaro.
Essendo i polacchi come gli ungheresi del tutto sordi all’accoglienza dei flussi migratori più o meno naturali, si sono trovati di colpo di fronte a un fenomeno totalmente artificiale con cui il dittatore bielorusso ha creato e messo in azione una bomba umana. La Merkel ha subito telefonato a Putin, il quale non ha ammesso alcuna responsabilità mentre la Commissione europea prendeva la difficile decisione di schierarsi totalmente con il governo di Varsavia promettendo anche gli aiuti economici per opporre ostacoli lungo la lunga e molto penetrabile frontiera.
Il che, tradotto nei termini politici di oggi, specialmente dopo l’era Trump, si chiama “muro”, una parola impronunciabile perché contiene già la sua condanna all’interno del suo significato. E questa è per ora l’unica punto di vantaggio incassato da Putin e dal suo vasto possedimento bielorusso. Ma dietro, oltre questi logori confini in parte figli del passato, si nasconde la guerra dei gasdotti e dello stesso prezzo del gas che sta mettendo in crisi l’Europa e anche l’Italia dove persino le vetrerie di Murano stanno chiudendo, a causa della bolletta del gas per scaldare e lavorare il vetro.
Le previsioni sulla tenuta sociale di fronte agli aumenti energetici è un’altra bomba contenuta nella prima bomba, quella della immissione di migliaia di vittime umane sul terreno in cui si sta giocando una nuova guerra mondiale usando armi umane, carica di rischi irreversibili. A freddare moderatamente l’incandescenza politica planetaria è intervenuto l’ipotesi di un accordo climatico fra Stati Uniti e Cina in cui il presidente Xi, prossimo alla beatificazione del plenum del Partito comunista che lo sta per elevare ai fasti semidivini di Mao Zedong, ruba la scena a tutti per dichiararsi pronto a fare ciò che finora aveva totalmente negato, e cioè abbassare le emissioni di CO2 nella stessa misura degli Stati Uniti.
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